il Fatto Quotidiano, 21 agosto 2018
Boito tra autocritica e profondità culturale: da “Nerone” a “Faust”
La creazione artistica di Boito è segnata da tre fatti: audacia d’avanguardia, eccessiva autocritica, e una profondità di cultura che a volte soverchia l’invenzione. Del poeta abbiamo fatto cenno; a completarne l’immagine occorre almeno ricordare il Libretto dell’Amleto di Franco Faccio (Opera assai notevole, e unica del suo Autore, 1865), il mirabile poemetto Re Orso, e la commedia Basi e Bote, in lingua veneziana, con la presenza delle Maschere. Da qui può incominciare il discorso sull’autocritica, giacché Arrigo se l’era scritta per sé, ma non la musicò; lo fece, solo negli anni Venti, Riccardo Pick-Mangiagalli, con un piccolo capolavoro. La partitura di Ero e Leandro, poi intonato da Bottesini e Mancinelli, venne da Boito distrutta; come quella della prima versione del Mefistofele, salvo le parti trascorse nella seconda. A completare il tema dell’autocritica – e dell’eccesso di cultura – vale il caso del Nerone, al quale il Maestro, completatone il poema drammatico, attese per cinquant’anni, senza riuscire a finirlo.
Ma l’autocritica di Boito è pur essa contraddittoria e, a volte, inconcludente: avrebbe dovuto esercitarsi sui suoi attacchi a Manzoni. Ricordiamo, piuttosto, che il fratello Camillo, l’architetto progettista della milanese Casa Verdi, è un narratore realista (si dicevano gli “Scapigliati”) di gran livello, e la sua novella Senso è pur essa un capolavoro.
Che del primo Mefistofele noi possediamo il solo poema drammatico è un’autentica disgrazia: ché la musica varrebbe ad assai meglio delineare la fisionomia di Boito artista d’avanguardia. La fedeltà a Goethe di un compositore che musica persino il Prologo in teatro è straordinaria. Se si pensa che tuttora l’Opera più famosa ispirata (a chiacchiere) al poema di Goethe è la serie di pasticcini chiamata Faust, di Gounod, possiamo renderci conto dell’altezza artistica e culturale di Boito. La popolarità di questa raccolta di gradevoli e lenificanti melodie sta nell’aver essa ridotto la complessità metafisica e filosofica del poema all’aneddoto della storia d’amore di Faust e Margherita, a uso di platee borghesi.
Arrigo è dalla parte dei problematici e dei profondi. Berlioz, ateo, è infedele a Goethe: nella sua opera, che non è concepita per la scena, danna Faust; rispetto al poema, procede per libere variazioni. Schumann, nelle Scene dal Faust, osa affrontare la Seconda Parte del poema, con l’Amena contrada, la morte e il seppellimento dell’idealista e un Finale in Cielo che nemmeno l’Ottava Sinfonia di Mahler riuscirà a superare. Ma Boito tocca pur egli sia il Prologo in Cielo che il Secondo Faust. Il suo Sabba è una pagina di fantasia visionaria, che fa pensare allo stile di Musorgskij idealmente abbracciato pur se non conosciuto. Nel quarto atto del Mefistofele cade la sua creazione più bella e ispirata, il monologo di Elena sulla distruzione di Troia, in esametri, che precorre le Odi barbare di Carducci non solo nello stile ma nella stessa concezione teorica.
In effetti il virtuosismo metrico è forse la prima qualità dell’artista Boito, e quasi la scaturigine della sua invenzione. Anche se il secondo Mefistofele deve aver limato le arditezze del primo, la tendenza dell’Autore verso una sorta di prosa musicale, l’ampio spettro tonale, l’uso di un’armonia a tratti speciosa, fanno di quest’Opera il più alto omaggio a Goethe fatto dalla civiltà italiana. Al Poeta sarebbe spiaciuto: se mai qualcuno avesse dovuto musicare il Faust, per lui sarebbero stati Mozart o Rossini…