il Giornale, 21 agosto 2018
Più maiali che uomini. È allarme ambientale
Madrid In un futuro, non troppo distopico, saranno loro a comandare, perché nel presente, in Spagna, terra di tori, ma soprattutto di prosciutti, il numero di maiali d’allevamento supera la sua intera popolazione di umani. Cinquanta milioni di artiodattili suiformi con codino a cavatappi, comunemente detti maiali, contro i quarantasei milioni e mezzo di spagnoli. Un dato sconvolgente che potrebbe ispirare un film documentario alla «Mondo porco» in stile Jacopetti.
Ma il sorpasso suino sugli spagnoli non è un primato, è una bruttura. Dal 2013, la popolazione suina presente negli allevamenti intensivi iberici è cresciuta di 9 milioni di unità. Negli ultimi cinque anni, sempre secondo i dati del ministero dell’Agricoltura spagnolo, 4 milioni di tonnellate di carne di maiale sono finiti sul mercato mondiale, producendo un valore di scambi commerciali pari a sei miliardi di euro. Un impatto sull’ambiente devastante, avvisano i ricercatori, denunciando le tonnellate di liquame e i metri cubi di gas serra prodotti negli allevamenti suini.
Dietro alle esalazioni nocive dei trasporti, della produzione di elettricità e dell’industria, ci sono i gas suini, ma nessuno spagnolo rinuncia al prosciutto, come nessun italiano rinuncerebbe al salame. Il consumo del re prosciutto è talmente radicato nei palati degli spagnoli, che ne hanno fatto una catena di salumerie chiamate «Museo del prosciutto» dove gustare sotto ogni forma e taglio il re degli insaccati. Sette spagnoli su dieci, a colazione al bar ordinano una tazza di caffè e un bocadillo de jamon, un mezzo sfilatino di pane imbottito di prosciutto. In ogni bar de tapas, le piernas, le cosce di suino troneggiano a decine appese ai soffitti, come fosse una gigantesca scorta preventiva in caso di guerra nucleare.
Gli animalisti spagnoli sono riusciti a mettere in un angolo la corrida (le Isole Baleari e la Catalogna l’hanno vietata da anni), ma non sono riusciti a sensibilizzare gli spagnoli sulle crudeltà degli allevamenti intensivi di maiali che sono veri lager, dove gli animali sono ammassati, molti si ammalano e muoiono. Il settore suino è da sempre la madre di numerosi scandali sanitari e alimentari. Dopo la lobby dei tori, ora alimentata da una crescente richiesta di prosciutto (la Cina ha decuplicato l’import dal 2000), c’è quella del maiale che gode di molti favori tra i politici.
Spesso, come accade per la corrida, c’è chi non mangia prosciutto, ma ne difende il consumo perché è cultura iberica, ignorando che per trecento grammi di carne di maiale si usano trentacinque litri d’acqua. E allora c’è chi pensa di variare la dieta degli spagnoli con altri alimenti proteici a basso impatto, come gli insetti o le alghe. E che, chi tra gli allevatori con più cervello, invita a limitarne produzione e consumi, lasciando i maiali liberi di pascolare su vari ettari di terra e di nutrisi solo di ghiande nere, come avviene per il costoso prosciutto Patanegra, il paradiso dei suini, prima della mattanza, e quello dei palati più raffinati. Può costare 300 euro al chilo, otto volte il prezzo del nostro di Parma.