Corriere della Sera, 21 agosto 2018
Petrarca, le passioni domate
«Raccoglierò gli sparsi frammenti della mia anima e vigilerò diligente su di me»: Francesco Petrarca, nel dialogo con sant’Agostino messo in scena nel Secretum, l’opera in cui esprime la sua crisi interiore, capisce che il vero «filosofo» non può prescindere dall’analisi del proprio «io». Così il suo ricchissimo epistolario in latino – dove, tra le raccolte più celebri, figurano le Familiares (350 lettere), le Sine nomine (19 lettere senza i nomi dei destinatari) e le Seniles (127 lettere) – si presenta come un variegato percorso «autobiografico», in cui l’autore racconta la sua vita e, nello stesso tempo, dipinge un ritratto idealizzato di sé stesso per i lettori contemporanei e futuri.
La scelta dell’epistolografia coincide con la scoperta delle lettere ad Attico di Cicerone che Petrarca aveva fatto nel 1345 nella Biblioteca Capitolare di Verona. Pochi anni dopo, infatti, influenzato dal modello dello scrittore romano, Francesco decide di raccogliere le sue epistole, ridando vita a un genere letterario che poi conoscerà un grande successo nel Rinascimento.
Le scelte che investono i destinatari (contemporanei, fittizi, defunti), i temi (culturali, religiosi, politici, ma anche legati alla vita quotidiana, ai viaggi, alla descrizione dei luoghi), gli stili (dal tono colloquiale e affettuoso a quello polemico), le circostanze (inventate e concrete) non sono mai casuali. Anzi ci aiutano a capire che l’epistolario petrarchesco si configura come un fervente laboratorio in cui l’autore scrive, riscrive, modifica, cancella e dispone i materiali secondo un suo ben preciso disegno.
Ora Silvia Rizzo, avvalendosi della collaborazione di Monica Berté, con la pubblicazione del quarto volume delle Senili ha portato a termine l’edizione critica (con un apparato delle fonti e delle varianti) e la traduzione (accompagnata da un ricco e innovativo commento) di questa straordinaria raccolta di lettere del poeta (Res Seniles, Casa Editrice Le Lettere, Commissione per l’Edizione Nazionale delle Opere di Francesco Petrarca).
Grazie a un prezioso lavoro durato quasi vent’anni (il primo volume appare nel 2006 e un quinto volume con vari indici è previsto entro il 2018), la Rizzo, che alla filologia umanistica ha dedicato eccellenti lavori, è riuscita a ricostruire le complicate vicende redazionali dell’epistolario, in cui si trovano lettere oggetto di diverse stesure, collazionando numerosi testimoni.
Non poche le novità, anche rispetto alle stesse scelte della filologa operate nei volumi precedenti. Ma la scoperta più eclatante riguarda la chiusura delle Senili: l’opera – considerata finora incompiuta a causa della famosa epistola Ad Posteritatem mai portata a termine e da alcuni identificata come XVIII libro – si conclude invece con le lettere contenute nel XVII libro.
Tra il 1361 (quando l’autore aveva 57 anni) e il 1374 (l’anno della sua morte), Petrarca si concentra essenzialmente sul tema della vecchiaia e sugli effetti del tempo nella percezione della vita e delle relazioni umane. Al centro della raccolta, in posizione di mise en abyme, l’autore pone una lettera (8, 2) in cui descrive le sane «debolezze» del corpo e la forza dell’animo in grado di domare passioni e voluttà, veri nemici della virtù: un incoraggiamento a considerare il passaggio dalla giovinezza (il conflitto interiore) alla vecchiaia (il «porto sicuro») come una sorta di liberazione dai tempestosi contrasti per approdare alla pace intima e alla saggezza («non vi fu un giovane più triste di me né un vecchio più lieto»).
Si tratta di un epistolario ricco di pagine commoventi, in cui Petrarca rievoca importanti episodi della sua vita: il tremendo dolore per la morte del nipotino di due anni («L’ho amato più di un figlio. Non l’avevo generato io: che importa?», 10, 4), le critiche alla barbarie del presente («quanto la nostra Italia si mostri pronta a imparare i costumi barbarici», 12, 1), la scomparsa del figlio Giovanni con cui era in conflitto («da vivo lo odiavo a parole, ora che è morto lo amo con la mente, lo tengo stretto nel cuore e lo abbraccio nella memoria», 1, 3), l’amore infinito per i libri (1, 3), la preoccupazione per il destino della biblioteca di Giovanni Boccaccio che in un momento di crisi lo scrittore avrebbe voluto vendere («E sebbene mi sembri di comprare una cosa mia, non vorrei tuttavia che i libri di un così grande uomo finissero dispersi qua e là», 1, 5) e la traduzione in latino dell’ultima novella del Decameron, che segnerà il grande successo del racconto di Griselda (17, 3).
In queste lettere, il lettore potrà ritrovare l’inesauribile passione di Petrarca per le sue opere a tal punto da non considerarle mai «finite» («anche se vivessi ancora cento anni sempre mancherebbe un non so che» 12, 1). Quando vita e scrittura si identificano, infatti, la seconda si interrompe solo quando la prima svanisce.