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 2018  agosto 21 Martedì calendario

Addio a Uri Avnery, Israele ha perso la sua stella pacifista

Il giornale che ha diretto per quarant’anni non ha mai superato le 5 mila copie, il gruppo pacifista che ha fondato raggiunge qualche centinaio di adepti. Eppure Uri Avnery è il più noto bastian contrario della politica israeliana perché è della stessa generazione dei padri fondatori del Paese: ha cominciato a litigare con loro – a partire da David Ben-Gurion – e non ha mai smesso. Come l’ha ricordato il presidente Reuven Rivlin: «Rappresenterà in eterno l’oppositore. Avevamo idee molto diverse, ma i contrasti impallidivano in confronto all’aspirazione di costruire una società libera e forte».
Così nel giorno della morte a 94 anni la destra celebra l’uomo che ha sempre lottato contro la sua ideologia, dal controllo sui territori palestinesi alla costruzione degli insediamenti. Perché anche Naftali Bennett, ministro dell’Educazione e leader del partito dei coloni, non dimentica le altre battaglie combattute da Avnery, fin dalla guerra d’Indipendenza con l’unità delle Volpi di Sansone e ancora prima nelle milizie clandestine dell’Irgun.
Era immigrato qui con la famiglia a dieci anni, in fuga dalla Germania nazista: lo Stato d’Israele non era ancora nato, non ha visto nascere l’altro per cui si è battuto tutta la vita. È stato il primo a parlare di una nazione per i palestinesi, in tempi in cui neppure gli arabi usavano quel nome per identificare il popolo governato allora dai giordani e dagli egiziani (a Gaza). Troppo radicale perfino per la sinistra con la sua organizzazione Gush Shalom, è stato il primo israeliano a incontrare Yasser Arafat nella Beirut devastata dalla guerra civile, quando ancora era un atto illegale e il raìs rappresentava l’arcinemico. Pochi mesi fa aveva scoperto – dopo le rivelazioni del giornalista Ronen Bergman – che quel giorno (il 3 luglio 1982) avrebbe potuto essere l’ultimo: i servizi segreti israeliani lo stavano pedinando per scoprire il nascondiglio di Arafat e Ariel Sharon, da ministro della Difesa, sarebbe stato pronto a dare l’ordine di bombardare anche se Avnery fosse stato nella stessa stanza.
Non ha mai smesso di credere a un accordo con i palestinesi, non ha mai rinunciato all’idea che i due Stati potessero vivere fianco a fianco. Per questo si è sempre rifiutato di sostenere il movimento internazionale per il boicottaggio («devono chiarire se vogliono un’intesa con Israele o un’intesa senza Israele»), era convinto che la pace dovesse (potesse) arrivare solo da una scelta interna, non con le minacce e le pressioni esterne: «Ce la possiamo ancora fare».