21 agosto 2018
Corsivi e commenti
Asia
Corriere della Sera
Che la paladina delle vittime di abusi sessuali, Asia #metoo Argento, abbia versato 380 mila dollari a un attore di vent’anni più giovane per lenirgli il trauma di averlo sbattuto su un materasso a molle californiano quando era ancora minorenne è una di quelle notizie fatte apposta per scatenare reazioni di pancia. La prima rivolta a lei: ma guarda da che pulpito veniva la predica. La seconda a me: se a 17 anni, in piena tempesta ormonale, un’attrice fosse scesa dal poster della mia camera per possedermi, ne sarei rimasto «traumatizzato» come il toy-boy di Asia o galvanizzato come un mio compagno di scuola dopo il flirt con la supplente di disegno?
Di quell’attore in erba Asia Argento era la mentore riconosciuta, tanto che lui la chiamava «mamma». Tra loro si era instaurato, a sessi rovesciati, lo stesso rapporto di subordinazione che il produttore hollywoodiano Weinstein intratteneva con le sue prede. Come nel Signore degli Anelli, il Potere altera le relazioni umane, facendo impazzire chi lo detiene, ma anche chi è disposto a tutto per ottenerne i favori. Solo un illuso può credere che nelle mani delle donne cambi natura: la Storia è piena di regine ninfomani e sanguinarie. Maschio Weinstein o femmina Argento che sia, chiunque eserciti un potere senza controllo finisce sempre per abusarne.
Massimo Gramellini
***
Perfezione
La Stampa
Chi l’ha detto che la perfezione non è di questo mondo? È di sferica perfezione la storia di Asia Argento, che denuncia di essere stata molestata e stuprata da minorenne, e un mese dopo viene denunciata da un attore che, da minorenne, fu molestato e stuprato da lei. È subito finita come Robespierre: ghigliottinata poiché fece ghigliottinare, e in penuria di evidenze sono bastate le parvenze. La perfezione non è mai misericordiosa, la perfezione può essere soltanto spietata perché non ammette l’eccezione né il dubbio. È perfetto Matteo Salvini che a sangue caldo promette il patibolo ai Benetton, e dieci anni dopo aver votato il rinnovo delle concessioni ai Benetton medesimi. È perfetto il Pd che condanna per indecenza il selfie di Salvini ai funerali di Genova, per due giorni, sinché qualcuno non ritira fuori il selfie di Matteo Renzi al funerale di Tina Anselmi. È perfetto, forse persino perfettissimo, il procuratore Cozzi travolto da sé stesso - «non ci sono indagati, ci vuole tempo, ci vuole prudenza» - al culmine di una settimana di grida contro l’errore umano e l’abdicazione dello Stato. Non sarebbe finita qui, ce ne sarebbero molti altri di perfetti trombettieri della verità. Ma resta lo spazio per una piccola storia imperfetta: quattro ragazzi e quattro ragazze compresi fra i 13 e i 25 anni sono stati denunciati per invasione aggravata di edificio per avere scavalcato il cancello della scuola Rodari di Ponte Buggianese (Pistoia) ed esserne saliti sul tetto a vedere le stelle cadenti. Non c’è nemmeno bisogno della spossante arte del garantismo, qui. Basta la tenerezza di un’imperfezione.
Mattia Feltri
***
Silenzio
la Repubblica
Una volta acclarato che anche la Lega votò per il rinnovo della concessione delle autostrade ai Benetton (e in quell’occasione il Pd votò contro), sarebbe utile aggiungere che pochissimi esponenti politici, negli ultimi trent’anni, si sono espressi contro le privatizzazioni; l’accusa di “statalismo” incombeva su chiunque fosse favorevole alla gestione pubblica dei servizi primari e delle infrastrutture; né il vittorioso referendum per l’acqua pubblica servì a invertire la rotta.
Se la politica non spendesse il 99 per cento delle proprie energie a rinfacciare alla fazione contraria problemi che gravano sulle spalle di tutti (la mafia, le concessioni allegre, le manutenzioni distratte, le buche di Roma, l’urto della migrazione), con un penoso effetto di pagliuzza e trave, magari il discorso pubblico farebbe qualche passetto in avanti.Salvini non ha alcun titolo per sbeffeggiare o sgridare chi ha mollato le autostrade al loro destino di gestione privata, e dunque di oggetto di lucro. Ha fatto ampiamente parte della schiacciante maggioranza che, seguendo la corrente impetuosa dell’epoca, pensava che il libero mercato avrebbe sanato ogni piaga e riscattato ogni offesa. Così non è stato, e il Salvini nazionalizzatore last minute è, molto banalmente, un furbo che conta sulla smemoratezza della pubblica opinione. Quanto alla sinistra, per ritrovare il bandolo della sua ostilità all’ingordigia del profitto bisogna risalire alla Comune di Parigi. Se nessuno ha i titoli per dare lezioncine agli altri, perché non decretano, tutti insieme, un mese di silenzio in onore dei morti di Genova?
Michele Serra
Silenzio
la Repubblica
Una volta acclarato che anche la Lega votò per il rinnovo della concessione delle autostrade ai Benetton (e in quell’occasione il Pd votò contro), sarebbe utile aggiungere che pochissimi esponenti politici, negli ultimi trent’anni, si sono espressi contro le privatizzazioni; l’accusa di “statalismo” incombeva su chiunque fosse favorevole alla gestione pubblica dei servizi primari e delle infrastrutture; né il vittorioso referendum per l’acqua pubblica servì a invertire la rotta.
Se la politica non spendesse il 99 per cento delle proprie energie a rinfacciare alla fazione contraria problemi che gravano sulle spalle di tutti (la mafia, le concessioni allegre, le manutenzioni distratte, le buche di Roma, l’urto della migrazione), con un penoso effetto di pagliuzza e trave, magari il discorso pubblico farebbe qualche passetto in avanti.Salvini non ha alcun titolo per sbeffeggiare o sgridare chi ha mollato le autostrade al loro destino di gestione privata, e dunque di oggetto di lucro. Ha fatto ampiamente parte della schiacciante maggioranza che, seguendo la corrente impetuosa dell’epoca, pensava che il libero mercato avrebbe sanato ogni piaga e riscattato ogni offesa. Così non è stato, e il Salvini nazionalizzatore last minute è, molto banalmente, un furbo che conta sulla smemoratezza della pubblica opinione. Quanto alla sinistra, per ritrovare il bandolo della sua ostilità all’ingordigia del profitto bisogna risalire alla Comune di Parigi. Se nessuno ha i titoli per dare lezioncine agli altri, perché non decretano, tutti insieme, un mese di silenzio in onore dei morti di Genova?
Michele Serra
***
Silenzio
il Fatto Quotidiano
Se fossi il Dittatore di questo Paese nel caso di fatti come quello del crollo del ponte sul Polcevera imporrei il silenzio per almeno un mese a tutti gli uomini politici, di qualsiasi specie, senatori, deputati, consiglieri regionali e comunali, ministri eccezion fatta per i titolari dei Dicasteri di volta in volta competenti e, se proprio sente il bisogno di dir qualcosa, per il Presidente del Consiglio.
Se fossi il Dittatore di questo Paese imporrei il silenzio per almeno un mese ai commentatori dei giornali, facendogli oltretutto con ciò un favore perché in casi come questi non si possono scrivere, nell’immediato, che ovvietà e banalità, quasi sempre, per non dir sempre, irritanti.
Se fossi il Dittatore di questo Paese impedirei a cardinali, arcivescovi, vescovi, preti, frati, omelie consolatorie del tutto inutili, in cui del resto da necrofori professionali sono specializzati, e in cui non possono mancare frasi retoriche prive di senso come quella pronunciata dal Cardinal Bagnasco: “La città non si piega”. Se Genova si piegherà o meno lo potremo vedere solo in futuro, come dopo il terrificante terremoto di Gemona del 1976 vedemmo che i friulani in un solo anno e mezzo avevano ricostruito tutto, mentre per quello del Belice stiamo pagando ancora le accise.
Se fossi il Dittatore di questo Paese impedirei la diffusione di filmini pornografici fatti con gli smartphone da persone che erano nelle vicinanze. E individuati i responsabili li farei acciuffare da quattro giannizzeri e portare sulle parti del ponte ancora più o meno agibili perché li buttino di sotto. Infliggerei pene anche peggiori, all’altezza del loro sadismo, della loro completa mancanza di rispetto, della loro sconcia idolatria dell’audience, a quei direttori di telegiornali e a quei giornalisti che, come quelli di Sky, si sono impadroniti di uno smartphone, abbandonato da qualcuno che si era reso evidentemente conto dell’oscenità che stava compiendo e cercava di dare in qualche modo una mano, e ne hanno riproposto, a buio, l’audio.
Se fossi il Dittatore di questo Paese vieterei per tre giorni la pubblicità prima e dopo i telegiornali, che riesce a trasformare, per un contrasto insopportabile, in una farsa grottesca una tragedia. Sarebbe la mia forma di “lutto nazionale”. Al posto di inutili e altrettanto grotteschi “funerali di Stato” dove si è trovato il modo di dividersi in fazioni politiche, inneggiando al governo che nulla di bene, fino a quel momento, aveva potuto fare e contestando l’attuale opposizione che di nulla poteva essersi resa responsabile per il crollo di un ponte finito di costruire nel 1967. Si eviterebbe così anche di scimmiottare gli americani citando i nomi di battesimo di perfetti sconosciuti cari solo a chi aveva rapporti con loro. Un’ipocrisia nauseante.
Se fossi il Dittatore di questo Paese proibirei il minuto di silenzio prima delle partite di calcio. Perché il pubblico è incapace di mantenere il silenzio: applaude. Cosa applaude? La morte di 43 persone.
Infine se fossi il Dittatore di questo Paese mi vergognerei di esserlo. Non è ammissibile che ogni volta che accade una tragedia come questa noi italiani si dia, immancabilmente, a noi stessi e al mondo che ci guarda uno spettacolo di scompostezza che ci umilia e ci disonora.
Massimo Fini
***
Balle
il Giornale
I casi sono due. O siamo alla vigilia della prima vera crisi del governo gialloverde o siamo all’inizio di una lunga stagione di quotidiana presa per i fondelli dell’opinione pubblica. Propendo per la seconda ipotesi, perché il collante di questo governo non è fare le cose, promesse o necessarie, ma solo mantenere alto il consenso presso i rispettivi elettorati. Non è necessario quindi che la gente dica «bravo che hai fatto», per loro è sufficiente incassare quotidianamente un più semplice «bravo che hai detto». Così in queste ore mentre Matteo Salvini annuncia che la nave della Guardia costiera italiana Diciotti, al largo da giorni con il suo carico di 177 immigrati raccolti in mare, non attraccherà mai in un nostro porto (e giù gli applausi dei leghisti) il suo collega Cinquestelle Toninelli fa sapere di avere autorizzato lo sbarco a Catania (applauso dei grillini). Mettetevi nei panni del povero comandante della Diciotti. A chi dare retta? Al ministro dei Porti o a quello degli Interni? Stessa cosa per la tragedia di Genova. Sarà revocata la licenza ai Benetton e statalizzata la società Autostrade? Per Di Maio sicuramente sì, per la Lega certamente no come annunciato ieri da Giancarlo Giorgetti, braccio destro di Salvini.
Posizioni opposte su temi così cruciali dovrebbero fare presagire se non crisi almeno una imminente verifica di governo. E invece tutto va avanti come se nulla fosse tra amichevoli pacche sulle spalle e complimenti reciproci. Segno che siamo di fronte al più banale del gioco delle parti. Mi immagino una telefonata tipo di questi giorni tra Di Maio e Salvini. «Ciao Luigi, scusa il disturbo. Non ti arrabbiare ma sto per dire che la Diciotti non toccherà mai il suolo italiano e che piuttosto la faccio affondare. Facciamo un po’ di scena poi sistemiamo le cose». Risposta: «Figurati Matteo, non c’è problema. Già che ti sento, sto per dire che compriamo noi le autostrade, so che è una cavolata ma mi serve per tirarmi un po’ su nel sondaggio di Mentana di domani sera».
Esagerato, paradossale? Non tanto, comunque meno di quello che uno possa pensare. Domanda. Quanto ci è costato tenere la Diciotti in mare aperto per giorni, e quanti centinaia di milioni (anche di piccoli risparmiatori) sono stati bruciati in Borsa per l’incertezza sul futuro delle autostrade? Risposta: chi se ne frega, quel che conta è il gradimento degli italiani. Domani - fin che dura - è un altro giorno, un altro selfie, un’altra balla.
Alessandro Sallusti