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 2018  agosto 20 Lunedì calendario

Lo spread sale? Altro che complotto

Il giudizio dei mercati sull’Italia gialloverde è ormai preoccupazione quotidiana. Il costo dello spread, cioè la differenza tra il rendimento dei nostri titoli pubblici e quelli tedeschi, che si avvicina ai 300 punti, ha già lasciato segni indelebili nei conti dello Stato, delle banche, delle aziende. Intacca i risparmi delle famiglie. Non era mai accaduto però che un governo annunciasse un imminente attacco dei mercati, come ha fatto, assai incautamente, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti. A volte poi si ha l’impressione che qualcuno – tra gli esponenti più irrequieti e irresponsabili della maggioranza – addirittura se lo auguri. Tanto peggio, tanto meglio. L’ostilità del mondo della finanza confermerebbe che il «governo del cambiamento» è temuto. Cioè che l’esecutivo legastellato fa le cose che promette sfidando i poteri costituiti. Non ha paura.
I conflitti armati sono stati spesso favoriti dalla necessità di sedare contrasti interni, risolvere diatribe locali di potere, piegare il dissenso. La contrapposizione con i mercati sostituisce oggi – in misura fortunatamente assai meno cruenta – la narrazione militare del nemico esterno. E nell’età sovranista, del ritorno indietro alla riscoperta delle bellezze di un tempo (i ricordi sono sempre ingannevoli), gli indici finanziari sono la metafora dell’esercito nemico che preme alle porte. Feroce ed avido. Tra bramosia e stupidità I suoi capi sono i più diversi, a seconda delle interpretazioni. Le grandi potenze straniere, le burocrazie comunitarie. Oppure i «signori del dollaro», gli «gnomi del denaro». Arcigni e spietati fondi di investimento pronti ad arricchirsi sfruttando ogni debolezza nazionale. Finanzieri privi di scrupoli morali nel maramaldeggiare sulle difficoltà degli ultimi. Onusti di bonus legati alle disgrazie degli altri. Sia chiaro che alcuni si comportano proprio così. E persino peggio. Scommettendo al ribasso e, a volte, manipolando con cinica determinazione lo stesso mercato.

Cinema e realtà
Qualcuno ricorderà il film La grande scommessa sulla crisi finanziaria del 2008, tratto dal libro The Big Short: Inside the Doomsday Machine di Michael Lewis. Una storia vera sull’intuizione che il mercato immobiliare americano fosse sul punto di sgonfiarsi e con esso una serie di strumenti finanziari derivati venduti a clientela inconsapevole dei rischi. Una vicenda istruttiva sull’intelligenza e sulla bravura di alcuni. Ma anche sulla bramosia e sull’avidità, ingredienti tipici, insieme alla stupidità, di qualsiasi mercato, in qualsiasi era. George Soros speculò nel 1992 contro la lira e la sterlina. Senza riguardi. Ciò non può però giustificare la persecuzione, con accenti antisemiti, di cui è vittima nel suo Paese, l’Ungheria. La retorica del finanziere ebreo cattivo che cospira contro un intero popolo è l’arma che consente al presidente magiaro Viktor Orbán di scardinare i fondamenti di uno stato di diritto membro dell’Unione europea.

La crisi del 2011
Tutto il centrodestra italiano – e dunque anche Matteo Salvini e la Lega – si è nutrito in questi anni della leggendaria descrizione che il governo Berlusconi sia caduto nel 2011, quando lo spread toccò i 570 punti, per un complotto internazionale, non per colpe proprie. Lo stesso Cavaliere parlò, in più di una occasione, di «un colpo di Stato». «Lo spread – disse in un’intervista al Giornale l’11 dicembre del 2012 – è un’invenzione... prima non ne avevamo mai sentito parlare». Renato Brunetta ha più volte detto che nell’estate del 2011 fu consumato, nei confronti del nostro Paese, un autentico delitto. Allora anche Beppe Grillo scrisse, sul suo blog, che il governo Monti era «un colpo di spread». L’economista ed ex ministro di Forza Italia, dopo l’uscita, nel maggio del 2014, del libro di memorie dell’ex segretario al Tesoro americano, chiese che vi fosse un’inchiesta parlamentare. Timothy Geithner in Stress Test sosteneva che il governo Berlusconi era caduto perché contrastava l’egemonia tedesca e i funzionari dell’Unione avrebbero tramato contro il governo di Roma. Seguirono precisazioni e smentite. L’allora presidente della Commissione José Manuel Barroso (oggi alla Goldman Sachs) disse che «l’Italia era vicinissima all’abisso e al G20 di Cannes alcuni tentarono di metterla sotto la supervisione del Fondo monetario, ma sarebbe stato un disastro». Si puntò il dito anche sulle vendite sospette di titoli di Stato della Deutsche Bank che si liberò, nel 2011, di sette degli otto miliardi che aveva in portafoglio. Il processo a Trani contro le agenzie di rating Standard and Poor’s e Fitch, che avevano declassato il Paese, si è risolto in una assoluzione perché «il fatto non sussiste». Brunetta, lo scorso 14 agosto, in un’intervista a Quotidiano.net, ha sostenuto che è il governo legastellato con i suoi «pericolosi proclami» e i «messaggi inaccettabili su Tav, Tap, Ilva, vaccini e vincoli europei di bilancio» a provocare i mercati. Teme a settembre una «tempesta perfetta» e un downgrading da parte delle agenzie di rating che «non sono brutte, sporche e cattive ma fanno il loro mestiere raccontando a mercati e investitori qual è la situazione economica e finanziaria di un Paese».

Il debito sovrano
Quando si parla dei mercati ci si dimentica di un piccolo particolare che dovrebbe indurre i rappresentanti della maggioranza a una maggiore cautela e il governo a muovere passi felpati e responsabili. Ogni anno un Paese indebitato come il nostro ha bisogno di vendere agli investitori 400 miliardi di titoli pubblici. Se temono di non essere rimborsati non sottoscrivono o lo fanno con un premio al rischio – ecco tornare la «bufala» dello spread – più alto. O altissimo, come ha fatto la Turchia, pronta peraltro a denunciare il «complotto internazionale dei mercati». «Loro hanno il dollaro – ha detto Erdogan – noi abbiamo Allah». Anche Putin non esitò a spiegare le difficoltà del rublo alla fine del 2014 con la perfidia della finanza mondiale. L’Occidente contro la Russia. Persino in Cina, nel momento critico della caduta dei titoli azionari nel 2015, si rispolverò la tesi del complotto internazionale. Per non parlare delle molte esternazioni dell’allora presidente argentina Cristina Fernández de Kirchner. L’Argentina ha fatto default due volte in 13 anni. Circa 450 mila risparmiatori italiani sono rimasti colpiti. E non erano parte di nessun complotto.