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 2018  agosto 20 Lunedì calendario

Antonino Cannavacciuolo raccontato dalla mamma Anna

Mamma Anna lo ammette senza remore. «A casa comandavo io». Perché un genitore «come ti dà da mangiare così ti deve dare l’educazione». E poi perché «certi figli se non li raddrizzi da piccoli, dopo non ci riesci più!». Non che ci fosse bisogno, con il suo Tonino. «Un bambino di cuore. Una volta a Natale la maestra aveva fatto fare dei lavoretti alla classe e ognuno aveva una candela. Una si ruppe e Tonino si offrì di prendere lui quella». Così, crescendo: «Una volta, era al campetto di calcio, stava mangiando il panino con salame e si accorse che un suo amico più grande lo guardava: non si accontentò di dargliene un pezzo, venne a casa a prepararne un altro per lui. E un’altra volta comprò la carbonella a una vecchietta che neanche conosceva. È sempre stato buono…».
Nato con la camicia
Il destino di Antonino Cannavacciuolo era scritto al momento del parto, in clinica a Vico Equense, alle 6 del mattino del 16 aprile 1975. L’infermiera che lo prese in braccio disse: «Questo bambino è nato con la camicia, da grande sarà molto fortunato». Il che chiuse la questione con zia Carmela, che appena lo vide commentò: «Mamma mia quanto è brutto!». Fin da piccolo si diede da fare in cucina. Racconta la madre: «Nel cortile lui e la sorella Tina, di due anni più grande, stavano con le pentoline e il coltello e mi affettavano la verdura: patate, zucchine, quel che c’era…». In casa cucinava la signora Anna, oggi 65enne, ma se c’erano ospiti ci pensava suo marito Andrea, insegnante di cucina nella scuola alberghiera dove avrebbe studiato anche il figlio («Quando non faceva filone», aggiunge la mamma, che ancora ricorda gli scioperi per la Guerra nel Golfo; peccato che a non entrare in classe fosse solo il figlio con un manipolo di amici…).

Il pranzo saltato
Dicevamo, però, delle maniere forti della matriarca. «Una volta lui e la sorella si stavano azzuffando prima di pranzo, era domenica. Per punizione li cacciai fuori di casa e dissi che non avrebbero mangiato niente fino a sera. Loro, affamati, andarono a prendersi i finocchi nel campo dello zio Marco, che provò invano a farmi cambiare idea». Quando Tonino impennava con la Vespa, erano automatici 15 giorni di confisca del mezzo. «Quella Vespa è stata più in cantina che per strada». Lui protestava: «Ma mamma, fanno tutti “il cavallo’ con la moto, solo io no!”». E se tornava troppo tardi la sera, la punizione consisteva nel dormire in auto. «Per la precisione, dentro la mia vecchia 500 blu. Ancora non era grosso come adesso, però era sempre un ragazzo alto». Lui provò anche a intavolare una trattativa: «Mamma mi sono informato: è inutile che minacci di farmi trovare il materasso fuori di casa, perché non ho ancora 18 anni e non puoi cacciarmi». Lei non si faceva intimidire: «E allora andiamo insieme dai carabinieri e chiediamogli a che ora è prevista la ritirata per un minorenne!».

Il trasferimento al Nord
«Ho esagerato un po’», riconosce candida sullo sfondo della costiera sorrentina, con la nuora Cinzia che ridacchia al suo fianco e il figliolo seduto con il padre da un’altra parte, lontano dalla nostra vista. Ma se le punizioni sono state senza misura, così pure l’amore per il suo Tonino. «Il giorno che è partito militare le tapparelle di casa sono rimaste abbassate a lutto. Quanto ho pianto. E quanto mi è costato! Tornava da Orvieto tutti i venerdì e ripartiva la domenica, con la borsa piena di provviste e qualche soldo che gli davo per mangiare la pizza con gli amici». Quando si è capito che dal Nord non sarebbe più tornato, è stata un’altra tragedia. «Io andavo a un gruppo di preghiera a recitare il rosario e pregavo per farlo rientrare. Certo, visto come è “finito”, ora sono contenta lo stesso…». Però pure il giorno delle nozze fu un pianto inconsolabile. «Eh, mia figlia e mio marito me lo dicono sempre che lui è il mio preferito. Ma che posso dire? I figli sono tutti uguali. Lui però è affettuoso, scherza, mi chiama tre volte al giorno… Se potessi tornare indietro ne farei quattro, di figli, non due!».

Il festival di Sanremo (e la sagra di Ticciano)
Sanremo è stato un altro dei momenti di massimo orgoglio. «Era con Minghi, peccato che non ci fosse Mietta. Comunque guardi che io piango sempre quando lo vedo in tivù, è un’emozione che si rinnova». È due anni fa, però, alla sagra di Ticciano, dove Antonino è cresciuto, che la famiglia ha toccato con mano la fama del piccolo di casa. «Lì abbiamo pianto tutti, anche mio marito e Tina e gli zii. La gente lo acclamava: “To-ni-no To-ni-no!”. Lui ci rimproverava: “E che è, il mio funerale?”. Chi non riusciva a fare le foto con lui si accontentava di me e del padre». Come chef al figlio non può che dare 10 e lode. Il suo piatto preferito? «Le linguine con i calamaretti e salsa al pane di segale: ogni volta che vado a Villa Crespi le chiedo!».