Libero, 19 agosto 2018
Tutta la verità sull’amore nel canto delle sirene
Chi non vorrebbe scovare e possedere una sirena? Magari da tenere nella propria piscina come trofeo ornamentale. Avrà un gran successo quest’estate L’Atlante delle Sirene di Agnese Grieco (Il Saggiatore): gli uomini hanno sempre voluto scoprire il mito della seduzione femminile, catturando sirene inafferrabili. Ridurle a semplici donne e così riscattare Ulisse, perché sono incantatrici dell’anima. Esse hanno il potere di separarla dal corpo. Ma la scrittrice, più che segnalare isole, coste e scogli dove incontrare sirene, intraprende un viaggio sentimentale nel mito, nella letteratura, nell’arte, nel teatro, nel cinema, facendo emergere la malìa struggente di queste giovani vergini che forse era soltanto straziante paura dell’uomo. E, pur di sfuggirgli, si trasformarono in uccelli e pesci, rinunciando per sempre all’amore. Narra Ovidio nel V libro delle Metamorfosi che Sirene era il nome delle compagne di Prosèrpina, figlia della madre terra Cerere, la quale venne rapita dal dio degli inferi Plutone mentre raccoglieva fiori. Disperate, la cercarono ovunque e poi pregarono gli dei che le dotassero di ali per poter individuare l’amica tra i flutti volando sopra il mare immenso. Erano ancora troppo giovani per sapere che il regno di Plutone si trovava al di là del mondo conoscibile. Dove peraltro la loro compagna si trovò benissimo e regnò a fianco del suo sposo. L’inferno non è mai inferno se sei amata. Ma le Sirene non lo potevano sapere e si rifiutarono di diventare donne preferendo la libertà. CON LE ALI Dunque le prime sirene avevano le ali. A simboleggiare che l’anima vola via e si salva. In Egitto infatti le raffigurazioni di uccelli con viso di fanciulla rappresentavano l’anima disgiunta dal corpo. Qualcosa però nei secoli deve esser andato storto e gli artigli e le ali delle sirene sono diventate metafora della pericolosità dell’amore perché ferisce e scompare. Le sirene a cui sfuggì Ulisse, anche se Omero nell’Odissea non le descrive fisicamente, dovevano essere uccelli dal viso virginale appollaiati sugli scogli dell’isola di Anthemoessa, al largo della costa campana. L’eroe greco era stato messo in guardia dalla maga Circe della fatale seduzione del loro canto. Tuttavia le aveva chiamate ‘muse del mare’, quindi trasmettevano il sapere di un elemento che è sempre in divenire. Gli aveva consigliato di riempire di cera le orecchie dei suoi compagni e, se lui avesse voluto ascoltare il canto, di farsi legare all’albero della nave. La parola greca seirenes deriva dal verbo ‘seirén’, che significa legare, avvincere. Ulisse scelse di farsi legare il corpo piuttosto che l’anima, certo che non avrebbe potuto essere catturata da quel canto melodioso. E soffrì moltissimo, come in amore. Quale donna invece non si sarebbe fatta rapire anima e corpo’ Ugualmente affascinante è l’etimologia di ‘sir’ che in lingua semitica esprime il canto. Per Omero la forza d’attrazione delle sirene era proprio nel loro canto, tanto dolce quanto distruttivo. Perché parola e suono incantano. Suscitando il desiderio, catturano con la promessa di un appagamento infinito; è erotismo. Ma il desiderio inappagato, incatena, è forza seduttiva. Il timore di subire la seduzione femminile fa dire di una donna che è frivola e vanitosa come una sirena. Un’autentica falsità se si considera che una sirena non potrebbe mai fare pazzie per un paio di scarpe. L’INCANTESIMO Questo mito ben simboleggia l’irrealizzabilità dell’incantesimo d’amore. La sirena ammalia, eppure è sempre una delusione perché nella parte inferiore è pesce. Il rapporto sessuale è impossibile. «Ognuno le diceva che era una sirena – osserva tristemente Agnese Grieco – ma al suo, di desiderio, ci badavano appena». Per Ulisse sono state tutte sirene, ammaliatrici: Circe, Calipso, Nausicaa. Loro era la colpa. L’unica che non faceva parte dell’elenco era Penelope, per questo Ulisse non aveva voglia di ritornare a casa. E per questo infine ritornò a casa, l’approdo sicuro dopo i perigliosi vagabondaggi di verifica della sua mascolinità. Il primo ad incontrare le Sirene però non fu Ulisse, bensì il poeta Orfeo, che si era imbarcato con gli Argonauti in rotta per la Colchide. Esse tentarono con i loro canti di sedurli e di far incagliare la nave sugli scogli. Orfeo le sfidò con le loro stesse armi: tirò fuori la lira e si mise a cantare. E le donne uccello tacquero. Forse Orfeo è stato il primo seduttore. Ma anche Ulisse si difendeva bene, infatti come scrive Omero: «Non era bello ma sapeva parlare». Ritornato a Itaca vent’anni dopo, convincerà pure Penelope della sua buona fede. È stata colpa degli dei. E quando poi c’era di mezzo Afrodite, la dea dell’amore, per i Greci ogni resistenza umana si rivelava vana. C’è stata nel mito la figura della sirena maschio’ Certo, il lascivo Tritone, figlio del dio del mare Poseidone, figura più sessuata che seduttiva. Quando alle sirene è cresciuta la coda’ Le sirene sapevano bene che sarebbero vissute sino a che la loro seduzione avesse sconvolto i cuori. Poi si inabissarono. E se Ovidio le chiamava ‘dotte’ e per Omero erano muse che rivelavano la conoscenza, di cui era curioso Ulisse, e secondo Socrate erano la conoscenza stessa, chi ignora le Sirene, le fa morire. Perché il sapere va sempre perseguito. Navigare per Ulisse è stato l’immergersi nella conoscenza, tra i flutti spaventosi degli anni che vengono incontro ma che vanno affrontati. E magari portano anche in dono una sirena. LA CACCIA È APERTA Affinché possiate orientare la bussola, vi sveliamo che le isole delle sirene si trovano in Grecia, in Sicilia, nelle coste dell’Italia meridionale, dove il calore del sole fa baluginare esseri sognati. Appaiono e scompaiono alla vista immagini della mente come fossero reali, tangibili. Ma la fantasia umana sa navigare ovunque e c’è chi ha visto sirene affiorare anche tra le brume di Copenhagen e Varsavia. Ma si tratta solo di fiabe dove le donne pesce sono prive d’anima o da seduttrici finiscono sedotte. La caccia alle sirene è aperta. A chi non crede siano soltanto schiuma d’onde. Per non rischiare di naufragare d’amore, forse il rudimentale consiglio di Circe, di tapparsi le orecchie con la cera, è ancora valido. E se non cantassero’ Si chiede Giorgio Albertazzi ne Il Silenzio delle Sirene (edizioni Ninfee, 1997): «Se la loro arma più terribile non fosse il loro canto, ma il loro silenzio’».