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 2018  agosto 20 Lunedì calendario

"Mi Rasna”, una full immersion nel mondo degli Etruschi per divertirsi imparando la storia

Un videogioco per telefonini con 15 mila immagini di reperti «donati» da 55 musei civici, 6 musei archeologici, 3 parchi archeologici, 2 poli museali di Lazio, Toscana e Umbria. Si chiama Mi Rasna (che significa «Io sono etrusco») ed è la proposta più recente di Ega (Entertainement Game Apps), la start up fondata da Maurizio Amoroso con sede a Londra ma cervello a Firenze. La dislocazione britannica nasce dal fatto che nel 2014 il primo progetto venne finanziato in crowdfunding, cioè attraverso la raccolta di quote su una piattaforma Internet che però non forniva questo servizio a società italiane.
Nacque Prosperity, dove il giocatore è un signore medievale che deve vedersela con pestilenze, carestie, irruzioni di nemici d’ogni sorta e trasformare il proprio villaggio in una potente fortezza, dopo aver raccolto persino più fondi dello stretto necessario, «molti dei quali – ci racconta ora Amoroso – vennero da istituti di medievistica di università americane». E continua a onorare il suo titolo prosperando, insieme con Mercantya, ambientato nel 1252 sulle rotte commerciali delle Repubbliche marinare, e Sigerico – Il viaggio, che racconta l’itinerario del Vescovo di Canterbury di ritorno dal pellegrinaggio romano, correva l’anno Mille, una delle prime testimonianze della popolarissima via Francigena. 
Sfidare i colossi dei videogiochi poteva apparire un’impresa disperata, in realtà la piccola Ega ha scoperto che è possibile, inventando qualcosa che prima non c’era, con contenuti di alto livello e ineccepibili anche dal punto di vista museale e accademico, e riuscendo a resistere anche in un mondo dove, basti pensare ai canadesi di Assassin’s Creed, non mancano le produzioni di buona qualità. «Loro però hanno migliaia di dipendenti – ci spiegano -, noi siamo in cinque e ci finanziano da soli, investendo quel che guadagniamo. A differenza di altre realtà non realizziamo progetti per una specifica committenza, per esempio un museo, ma ci prendiamo tutto il rischio d’impresa: facciamo il gioco, lo mettiamo sugli store e poi speriamo che qualcuno se lo compri».
Passione contagiosa
Nati da un passione, sono riusciti a essere contagiosi, per esempio con le istituzioni museali che generalmente fanno pagare le immagini dei loro preziosi reperti. «Sulle prime erano perplessi – dice Amoroso – ma alla fine li ho convinti: noi abbiamo chiesto il materiale a titolo gratuito, offrendo in cambio la visibilità che ai musei poteva derivare dal successo ad esempio di Mi Rasna». Ha funzionato ed è anche la prima volta che succede, visto che nel caso di un’attività a scopo di lucro bisogna pagare per avere i materiali. Il videogioco etrusco, con la sua collezione iconografica, è oggi il più grande museo elettronico su quella civiltà, con le immagini (selezionate dall’archeologa Francesca Pontani) che rinviano ovviamente ai musei da cui sono stati messi a disposizione.Non sarà proprio, per restare su un tema discusso nei primi giorni di agosto, una «domenica gratuita», perché i giocatori possono scegliere se pagare o no gli oggetti o le carte che ti consentono di arrivare a un livello superiore (se non si acquistano «aiuti» bisogna rispondere a quiz archeologici, non sempre facili), ma in definitiva gli assomiglia parecchio. «Fare i giochi non è un gioco», dice Amoroso, e c’è voluto un po’ di tempo per convincere di questa semplice verità i partner possibili. «Quando abbiamo cominciato, pensavamo che fosse più semplice». Già, e come avete cominciato? C’era una vocazione archeologica – e storica – o invece ludico-strategica? «Guardi – risponde -, io sono un ragioniere con la passione dei videogiochi: ma li volevo alla mia maniera, senza personaggi da abbattere in corsa e senza saltare sui muri. Quando ci pensavo, mi dicevo che se fossi riuscito a farne avrei attinto a temi meno usati, per esempio la storia d’Italia. E appena ho cominciato a progettarli, ho capito che servivano gli specialisti. Di qui il legame stretto tra archeologia e videogiochi».
Vediamo dunque come si gioca. Ci sono settecento anni di storia etrusca a disposizione, c’è la mappa delle città da far progredire e governare meglio che si può. Il paesaggio è ricreato in 2D, e occupa i confini attuali di Toscana, Lazio e Umbria, con la Dodecapoli, i templi più importanti, le necropoli ma anche i villaggi. Il giocatore diviene un alto magistrato etrusco, un re, un lucumone, e conquista posizioni di sempre maggior rilievo se riesce a incrementare le risorse dei suoi cittadini, difendendoli dai nemici: ovviamente il tempo, i banditi, gli Italici, oltre va da sé ai Romani. Bisogna saper usare bene la moneta, ma anche la scienza della politica e del governo. E come in tutti i videogiochi, ci sono cose che vanno «comprate» per davvero. 
Il «codice etico»
«Nel nostro caso c’è la possibilità di non spendere nulla rispondendo a alcune domande – spiega Amoroso -, visto e considerato che i giocatori italiani preferiscono di gran lunga la gratuità». Così, ad esempio, si può cliccare sulla città di Populonia ed ecco che si genera un mini-gioco che riguarda un reperto conservato effettivamente e non virtualmente in un museo. Se lo si risolve si ottiene la ricompensa, da spendere successivamente, e in tutti i casi si otterranno informazioni storiche sull’oggetto oltre che un link esterno, in questo caso al Museo di Piombino, dove è conservato. La scarsa propensione a spendere è un problema? «No. In fondo il 70 per cento dei paganti arriva dall’estero, considerato che i giochi sono anche disponibili in inglese – a eccezione di Mi Rasna, la cui versione internazionale non è ancora pronta. Il problema è sempre quello di avere un prodotto di qualità. I giocatori verranno da soli». 
E per quelli che mettono mano al portafoglio – elettronico – si tratta comunque di piccole somme. «Abbiamo anche posto una barriera, per evitare che qualcuno ci rimetta davvero: se nel mese un giocatore spende troppo viene bloccato automaticamente e riportato alla parte gratuita del gioco». Una specie di codice etico prevede anche di girare una parte dei proventi commerciali per finanziare scavi, ricerche e restauri dell’enorme patrimonio etrusco presente sul territorio. Gli Etruschi virtuali, intanto, stanno facendo fortuna. Il lucumone più bravo, in testa a tutte le classifiche, è una ragazza siciliana che studia Lettere all’università. E deve saperla davvero lunga. 
È sorta anche una questione piuttosto complessa, di tipo storiografico: i Romani. Sono loro, fatalmente, che alla fine, come ci insegna la storia, devono prevalere, sconfiggendo o inglobando, conquistando e spodestando. Poveri lucumoni, i giocatori ci si sono affezionati e ora non si vogliono arrendere. «Ci hanno chiesto in parecchi che Roma non vinca, e che gli Etruschi, alla fine, riescano a conservare la loro civiltà. Ma purtroppo questo è davvero impossibile». È un videogioco, mica può tutto.