La Stampa, 20 agosto 2018
Il Pd ai minimi adesso pensa di cambiare anche il nome
«La casa brucia, bisogna accelerare sul congresso e magari pensare a un cambio di nome». È uno dei dirigenti del Nazareno a metterla giù così e sono in molti fuori e dentro la sede del Pd a considerare il logo nato nel 2007 e quel progetto di partito un’esperienza per tante ragioni forse esaurita. Dopo Carlo Calenda, uno dei primi a uscire allo scoperto sul rinnovo dalle fondamenta è stato Matteo Richetti: in luglio, dalle colonne di questo giornale caldeggiava di «superare il Pd con una nuova forza aperta»: proponendo una rigenerazione totale, con cambio di nome e simbolo al partito.
Crollo del consenso
Tema già caldo dunque prima dei fischi di Genova ai big del Pd, ma che a maggior ragione ora si porrà come estremo tentativo di uscire dall’angolo per un partito in crollo verticale di popolarità. Il Tempo addirittura cita sondaggi riservati che circolerebbero nelle chat dei parlamentari con un Pd crollato dal 18 al 12-15%. Un nuovo brand – Movimento Democratico europeo è una delle idee che va per la maggiore – potrebbe dunque essere testato magari come lista alle elezioni per il rinnovo del parlamento di Bruxelles. Certo, non tutti sono disposti ad archiviare dopo il logo («Il Pd deve cambiare tutto tranne il nome», sentenzia Gianni Cuperlo) ma il bisogno di un radicale ripensamento è sul tavolo: la renziana Alessia Morani ha lanciato in luglio un sondaggio su Facebook, «Cosa ne pensate di un “Movimento Democratico Europeo”?», su una forza che coinvolga liberali e socialisti e garantisce che questo Mde raccoglie un discreto successo.
E fa effetto sentir dire che «bisogna uscire dall’edificio e costruirne un altro» da un esponente molto vicino a Walter Veltroni, che del Pd fu il fondatore e il primo leader dopo la celebre convention del Lingotto nel 2007. «Serve un atto rivoluzionario di rifondazione – ha scritto il parlamentare Roberto Morassut su Democratica.com – una costituente larga che faccia entrare pezzi di società civile, si trasformi in un movimento vasto e di grande respiro». Il nome? Movimento Democratico, propone Morassut. Ma saranno esperti di comunicazione a dire la loro su un eventuale nome e simbolo che abbia un minimo di appeal.
Una svolta come la Bolognina
Giorni fa si è pronunciata anche la politologa bolognese Elisabetta Gualmini, vicepresidente del consiglio regionale dell’Emilia Romagna. Proponendo una sorta di «nuova Bolognina», quella «svolta» che vide il cambio di nome del Pci ad opera di Achille Occhetto. «Il Pd deve cambiare pelle e volto al più presto», ha spiegato a Luca Telese su La Verità. Sostenendo che si dovrebbe collaudare questo cambiamento profondo alle regionali 2019 in Emilia Romagna. Con una postilla interessante: forse nel nuovo nome ci dovrebbe essere «un moderno riferimento all’idea del socialismo». Ragionamenti che in parte, confida la professoressa, sarebbero condivisi dal governatore della regione Stefano Bonaccini.
Quindi anche sul cambio di nome il Pd è pronto a dividersi, come sempre. Oltre Calenda che ha proposto un «Fronte repubblicano» contro «il sovranismo anarcoide», ci sono gli europeisti, come Sandro Gozi, che propugnano un’alleanza con Macron alle Europee. E poi c’è il neo-segretario Martina, che certo non gradisce qualunque progetto per cambiare nome al partito proprio alla vigilia del congresso e di nuove tornate elettorali.
Dalle parti di Renzi negano che la Leopolda di ottobre “Ritorno al futuro” servirà a lanciare una nuova formazione di stampo macroniano. «Tutti però sono consapevoli che il marchio Pd ora non tira – ammettono gli uomini dell’ex leader – e c’è un’esigenza largamente avvertita di dare nuova fisionomia al partito in vista delle Europee e del congresso. Smontando magari nome al Pd e pensando a un’altra forma».