la Repubblica, 20 agosto 2018
Quei pesciolini rossi abbandonati d’estate non finiranno nella Senna
La tragica epopea dei pesci rossi di Parigi, chiusa spesso con un tuffo nella Senna o con un cinico colpo di sciacquone, ha trovato a sorpresa un lieto fine. L’era delle stragi estive dei “carassii aurati” abbandonati prima delle ferie è arrivata al capolinea: l’acquario della capitale francese ha raccolto il silenzioso Sos dei pinnuti e aperto una “pensione” per quelli indesiderati. Regalando loro una seconda vita (spesso di gran lunga migliore della prima) e sgravando dai sensi di colpa le famiglie che fino ad oggi li hanno “liberati” – per non turbare i bambini – nelle acque del fiume o nello scarico del wc.
I primi survivor agli eccidi d’agosto nuotano sereni – ignari dello scampato pericolo – tra le carpe koi nel “bacino delle carezze”, una pozza da 20mila litri d’acqua nel piano interrato dell’esposizione dove i visitatori possono sfiorare con dolcezza il dorso degli ospiti. «Abbiamo già salvato 650 pesci rossi – festeggia François Ravin, l’impiegato dell’Aquarium che ha il compito di frenare l’entusiasmo dei piccoli seduti sull’orlo del vascone – a fine luglio siamo arrivati a punte di sei-sette consegne al giorno, l’ultimo è arrivato ieri sera, accompagnato da due ragazzi con gli occhi lucidi». Alexis Powilewicz, il direttore della struttura, non si aspettava tanto successo, ma è contento così: «Sono bestie sensibili. Come cani e gatti. Hanno diritto a essere salvati. E noi offriamo un’alternativa alla morte certa, visto che nella Senna e nelle fogne il loro destino è segnato».
Non tutti quelli che fanno check-in nel rifugio del pesce rosso all’Aquarium riescono a sopravvivere. «Quando i bambini ce li portano, molti sono già in condizione di stress – spiega François – li mettiamo in quarantena per un mese, li trattiamo con antibiotici e antiparassitari. I più debilitati però non riescono a superare il trauma del trasloco». La vita da animali da compagnia del resto, nel caso dei carassii, è un incubo: vivono in vasche claustrofobiche da 5-10 litri d’acqua («ne avrebbero bisogno di 100 a testa»), spesso senza filtri di depurazione, sopportando sbalzi termici di decine di gradi.
A tutelare i loro diritti, in teoria, ci sarebbero le leggi dello Stato. Ma una volta che sei chiuso in una boccia di vetro in un appartamento, farle rispettare è difficile. Molti paesi – anche l’Italia – impongono misure minime per gli acquari, altri hanno proibito quelli a sfera, dove non c’è ricambio d’ossigeno, e il loro uso come premi ai luna park e nelle sagre. La Svizzera obbliga per legge a tenerne un minimo di due per vasca, visto che sono animali gregari. Ma le sanzioni (in Italia se ne ricorda solo una da 100 euro a Bologna) si contano sulle dita di una mano.
I pesci rossi, allora si adattano. «Quando si ritrovano chiusi in una vaschetta troppo piccola bloccano la crescita», spiega Powilewicz. Arrivano a 5-8 centimetri poi stop. «Appena si sistemano qui e la via crucis finisce, rinascono», assicura. Vero: qualche carassius nella vasca delle carezze – dopo un anno di pigione all’Aquarium – è già arrivato a 15 cm. «E possono raggiungere tranquillamente i 30». «Sono enormi», ride un ragazzino del tour della domenica mattina, condotto da una guida in costume da “Peppa Pig”. I bambini hanno visto gli squali martello, le meduse, gli altri esemplari esotici (ce ne sono 10mila) dell’esposizione. Ma restano a bocca aperta anche all’ultima tappa, il vascone dove nuotano i pesci rossi appena arrivati, freschi di quarantena. «Sono quelli che la gente non voleva più, ora ci pensiamo noi», spiega la guida. «Là ce n’è uno uguale a quello che mi hanno appena regalato!», urla una piccola indicando un carassio che gioca attorno al tronco sommerso. Basta aspettare. Tempo un annetto e anche quel giocattolo con le pinne chiuso nel vaso di casa sua – con grande soddisfazione del diretto interessato – finirà quasi sicuramente per essere trasferito qui.