Corriere della Sera, 20 agosto 2018
E ora tocca alle rapper
Il rap in Italia non è mai stato così vitale. Conquista stabilmente le classifiche, batte facilmente anche il pop più blasonato e così le major hanno pensato di mettere sotto contratto tre femcee, le rapper donna insomma. Dopo Baby K, che aveva iniziato nel 2008 con il rap per poi darsi al pop, adesso tocca a Priestess, Leslie e Nibirv portare la parità di genere all’interno di uno stile storicamente maschile e maschilista. Tutte nate intorno agli anni ‘90, hanno energia, voglia di esprimersi, e le loro rime stanno conquistando anche gli uomini. Un’impresa non certo facile.
La più ascoltata della tripletta è Priestess. Nata nel 1996, Alessandra Prete (vero nome) ha superato il milione di ascolti su Spotify con Maria Antonietta, un brano che affronta temi tipici del rap, la quotidianità di una ragazza, i suoi svaghi, le sue preoccupazioni come sintetizzato dal verso «camere oscure, sapore di erba, le canne e i caffè, i vicini son fuori di testa, un po’ come me». Nata facendo cover jazz, rock e blues, sfrutta la sua dolcissima voce per tracce a metà strada tra il rap e la trap.
Completamente diversa è Lisa Cardoni, in arte Leslie. Pescarese classe 1993, è emersa nel 2017 grazie a Bimbe (Holla), brano a quattro mani interpretato con le colleghe Nibirv, Ivonne e Hindaco. In lei spicca la furia nel rappare. «Nelle mie canzoni mi metto a nudo, parlo di me e di ciò che mi accade. Se un mese non riesco a pagare le bollette racconto della mia insoddisfazione per questa nazione, se però ho fumato parecchio, faccio un pezzo che parla di canne o magari di sesso».
Omosessuale dichiarata,rispetto a molte colleghe non ammicca mai e non punta all’estetica. «Con i rapper uomini c’è un rapporto di stima reciproca, di sana competizione», racconta, «Con le donne invece la competizione è fisica, d’immagine, di click». I suoi primi video viaggiano intorno alle 50mila visualizzazioni su YouTube mentre l’ultimo singolo, Oh My Goodness dell’aprile scorso, conta 66mila ascolti su Spotify. Per il futuro ha in serbo un album. «Ho tantissima musica da pubblicare», sottolinea con la gradevole sfrontatezza che riversa nei suoi brani.
Chiude la tripletta Nibirv (si legge Nibiru). La sua voce è molto musicale e si concede anche qualche incursione nell’elettronica. Nata a Bologna nel 1989, Sofia Buconi ha esordito anche lei nel 2017 con Bimbe (Holla) e poi, nel 2018, sono arrivati i primi singoli da solista, Come Kurt Cobain (68mila ascolti su Spotify) e Deadlift (11mila). «Deadlift (lo stacco da terra dei pesisti) l’ho scritta mentre lavoravo in palestra e ha una doppia lettura: voglio esprimere il mio amore per l’attività fisica ma anche criticare l’ossessione per il corpo». Per lei la questione di genere nel rap è complessa: «Il mercato discografico è maschilista perché le donne sono ascoltatrici più attente, seguono di più gli artisti e comprano di più», sintetizza. Ma ha un’arma vincente: «Ho trovato un modo nuovo di esprimermi e affrontare tematiche femminili nel linguaggio degli uomini».
Questa dell’identità è una delle questioni più spinose del rap femminile. «Le donne devono imparare a scrivere testi, non si può andare avanti con artiste che rappano strofe altrui, magari scritte da uomini», spiega Paola Zukar, la più importante manager del rap in Italia. Energica 49enne, calca la scena underground fin dalla prima ora e tra i suoi artisti figurano nomi di spicco come Fabri Fibra, Marracash, Clementino ma nessuna donna. «Il rap è competitivo, aggressivo, e queste non sono certo le prime due caratteristiche che vengono in mente in una donna», spiega. Ciò vale anche per gli Stati Uniti dove dagli anni ‘90 ci sono femcee di successo come le decane Missy Elliott e Lauryn Hill e le più giovani Nicki Minaj e Cardi B, ma rimangono un’esigua percentuale. «Le ragazze da noi copiano ancora troppo – riprende Zukar —. Pensano ai vestiti firmati, usano le parolacce e l’aggressività degli uomini». La vera rivoluzione, secondo lei, ci sarà quando «le femcee troveranno una loro identità ben definita di donne, di artiste e di italiane». Come a dire: meno Instagram e più contenuti.