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 2018  agosto 18 Sabato calendario

United Leccons of Benetton

Impreparati come siamo in fatto di modernità, di progresso, ma soprattutto di Stato di diritto, ci eravamo fatti l’idea che il crollo di un ponte notoriamente pericolante fosse responsabilità anzitutto di chi (la società Atlantia della famiglia Benetton) l’aveva in gestione e si faceva pagare profumatamente per tenerlo in piedi ma non aveva fatto nulla; e poi anche di chi (i governi di destra e di sinistra degli ultimi 19 anni) si faceva pagare profumatamente per controllare che ciò avvenisse ma non faceva nulla; e che, dopo 40 morti e rotti, il governo avesse il diritto-dovere di revocare il contratto al concessionario inadempiente. Ma ieri per fortuna abbiamo letto il Giornalone Unico e scoperto che sbagliavamo di grosso. Attribuire qualsivoglia colpa per il ponte crollato a chi doveva tenerlo in piedi e controllare che fosse tenuto in piedi è sintomo di gravissime patologie: populismo, giustizialismo, moralismo, giustizia sommaria, punizione cieca, voglia di ghigliottina, ansia da Piazzale Loreto, sciacallaggio, speculazione, ansia vendicativa, barbarie umana e giuridica, cultura anti-impresa che dice “No a tutto”, pericolosa deriva autoritaria, ossessione del capro espiatorio, esplosione emotiva, punizione cieca, barbarie, pressappochismo, improvvisazione, avventurismo, collettivismo, socialismo reale, decrescita, oscurantismo (Repubblica, Corriere, Stampa, il Giornale).
Prendiamo nota e ci scusiamo con i Benetton e i loro compari politici se li abbiamo offesi anche solo nominandoli invano o pubblicando loro foto senz’attendere che, fra una quindicina d’anni, la Cassazione si pronunci sui loro eventuali reati. D’ora in avanti, ammaestrati da tanta sapienza giuridica che trasuda da giornaloni, tg e talk show, ci regoleremo di conseguenza nella vita di tutti i giorni. E invitiamo caldamente i nostri lettori e gli altri italiani contagiati dai suddetti virus, a fare altrettanto. Se, puta caso, acquistate o affittate un appartamento e, dopo qualche settimana sull’intonaco ancora fresco del soffitto compare una simpatica crepa, seguita magari dal gaio precipitare di calcinacci sulla vostra testa, evitate di farvi cogliere dalla classica cultura del sospetto, tipica del peggiore populismo grillino, e di protestare col proprietario o l’amministratore del condominio perché intervenga a riparare. Vi basterà la sua parola rassicurante sul fatto che nelle abitazioni moderne la crepa arreda e non c’è da preoccuparsi, perché la casa è “sotto costante monitoraggio e non presenta alcun pericolo di crollo”.
Nel malaugurato caso in cui la casa dovesse sbriciolarsi e voi doveste sopravvivere, astenetevi dalla classica tentazione giustizialista di rinfacciare a chi di dovere i vostri allarmi inascoltati; o, peggio, di attribuirgli qualsivoglia colpa, cedendo al peggior populismo; o – Dio non voglia: sarebbe giustizia sommaria indegna di uno Stato di diritto – di chiedergli i danni prima che un Tribunale, una Corte d’appello e la Cassazione abbiano confermato irrevocabilmente la sua penale responsabilità. C’è anche il caso che alcune circostanze infauste (tipo i funerali dei vostri cari o le fratture multiple che vi paralizzano in un letto d’ospedale) vi inducano a cedere all’emotività al punto di pretendere almeno la sostituzione dell’amministratore inadempiente, specie se doveste scoprire che costui (come l’Ad di Atlantia-Autostrade, Castellucci, sotto processo per la strage di Avellino) era già imputato per omicidio colposo plurimo per disastri precedenti: ecco, resistete a questi barbari istinti di giustizia sommaria. E, se vi chiedono ancora l’affitto della casa crollata, tenete a bada le mani e continuate a pagarlo, per non precipitare nel gorgo della cultura anti-impresa che dice “No a tutto” e porta dritto al socialismo reale.
Ci siamo fin qui barcamenati nella metafora della casa per non ricadere nel tragico errore di citare i Benetton e i governi degli ultimi 20 anni, cioè i concessionari e i concessori di Autostrade che credevamo responsabili politico-amministrativi del Ponte Morandi. Ora sappiamo dai giornaloni che essi non solo non vanno incolpati, ma neppure nominati. Al massimo – ci insegna Ezio Mauro – si può parlare di “una delle più grandi società autostradali private del mondo” che, “in attesa che la magistratura faccia luce”, non può diventare “il capro espiatorio di processi sommari e riti di piazza”, “tipici del populismo”. E guai a dire, come fa Di Maio, “a me Benetton non pagava campagne elettorali”: questo non l’avrebbe detto “nemmeno Perón”, forse perché a Perón i Benetton non pagavano le campagne elettorali, mentre Autostrade le pagò al centrosinistra e al centrodestra almeno nel 2008 (vedi Report). E guai soprattutto ad annunciare, come fa Conte, “la sospensione della concessione” senza aspettare “i tempi della giustizia”. Chi pensa che ai governi spetti accertare le responsabilità politico-amministrative e ai giudici quelle penali, perché un conto è revocare un contratto e un altro e mettere uno in galera, è un lurido “populista” e “pifferaio della decrescita”. Se c’è di mezzo Atlantia, che sponsorizza La Repubblica delle Idee e nel cui Cda siede la vice presidente del gruppo Repubblica Monica Mondardini, la responsabilità politico-amministrativa non esiste più: le concessioni si danno subito, anche in una notte, pure senza gara, ma per revocarle bisogna aspettare la Cassazione. Anzi, nemmeno quella, perché la revoca sarebbe – ammonisce Daniele Manca del Corriere – “una scorciatoia”, “un errore” e “un indizio di debolezza”: uno Stato forte viceversa lascia le sue autostrade in mani private, e che mani. Nemmeno Manca fa nomi, anche se sembra sul punto di farli: quando scrive “chi quelle società guida e controlla…”, par di vederlo mordersi la lingua e torturarsi le dita per impedire loro di scrivere “Benetton”. Poi, per non pensarci più, si scaglia contro i veri colpevoli: “Chi ha alimentato e salvaguardato l’interesse di minoranze a scapito del benessere del Paese, ostacolando nuove opere” (la famigerata “Gronda”, che avrebbe mantenuto in funzione il Ponte Morandi, e ci costerebbe 5-6 miliardi). Sistemati i veri colpevoli, restano da accertare le vere vittime: provvede Giovanni Orsina su La Stampa, lacrimando inconsolabile per i poveri Benetton (mai nominati), “sacrificati” come “capro espiatorio contro cui l’indignazione possa sfogarsi”. Roba da “paesi barbari”, soprattutto dinanzi “a una questione complessa come il crollo del Ponte Morandi”. Talmente complessa che ora Atlantia è pronta a ricostruirlo “in cinque mesi”. Un solo giornalista – il sempre spiritoso Luca Bottura – fa nomi e cognomi, con grave sprezzo del pericolo, su Repubblica: “Bagnai”, “Toninelli”, “i grillini” che “serbano nell’armadio lo scheletro della Gronda che forse avrebbe allungato la vita al Ponte Morandi” (mai fatta per colpa di chi non ha mai governato) e dicono “No tutto”, perfino al balsamico Tav “tra Torino e Lione” (che non c’entra nulla e infatti Bottura lo cita ma non si “arrischia” a citarlo “per paura di finire nel mirino” dei No Tav padroni di tutti i giornali, compreso il suo), “Salvini”, “Grillo”, la “Casaleggio”, “l’ansia vendicativa del governo… che sparge la calce viva della bassa politica su decine di vittime”, e “soprattutto Di Maio” perché osa attaccare “Autostrade per l’Italia (che certo non se la passa bene, ma devono dirlo i giudici)”. Ecco: per incolpare chi non c’entra nulla basta il Tribunale di Repubblica; ma per incolpare chi c’entra bisogna attendere la Cassazione.
Questi eterni Tartuffe italioti, usi a negare anche l’evidenza, Indro Montanelli li ritraeva con un apologo: “Un gentiluomo austriaco, roso dal sospetto che la moglie lo tradisse, la seguì di nascosto e la vide entrare in un albergo. Salì dietro di lei sino alla camera e dal buco della serratura la osservò spogliarsi e coricarsi insieme a un giovanotto. Ma, rimasto al buio perché i due a questo punto spensero la luce, gemette a bassa voce: ‘Non riuscirò dunque mai a liberarmi da questa tormentosa incertezza?’”.