la Repubblica, 19 agosto 2018
Al festival di Edimburgo si balla seguendo gli algoritmi
Nel più piovoso agosto scozzese, mentre è in corso la più politica (anti-Trump, anti-Brexit, anti-impoverimento, anti-social media) delle edizioni del Fringe Festival, anche l’ufficiale Edinburgh International Festival lancia un monito ricordandoci nei suoi due spettacoli di punta che noi esseri umani siamo soltanto mutanti programmati. Nell’implacabile, doloroso La Maladie de la mort, tratto dal racconto di Marguerite Duras del 1982, la regista britannica Katie Mitchell ricava, con riscrittura ampliata di Alice Birch, uno strepitoso lavoro di teatro-cinema che dimostra come nessuna intimità emozionale o sessuale tra uomo e donna sia pensabile.
E dal canto suo il coreografo altrettanto inglese Wayne McGregor attesta una sinergia senza limiti tra scienza e danza attivando un algoritmo che inAutobiography rende imprevedibile, computerizzata e sempre differente la sequenza del suo lavoro, così intitolato non per retrospettiva ma per archivio di idee. Nel primo appuntamento c’è l’enigmatica storia di un uomo maturo e piacente che stipula un contratto con una donna giovane per averla più notti in una stanza d’albergo sul mare, disposta a tutto, perché lui provi a conoscere l’amore. Duras vi prese spunto dall’ultimo suo amante, omosessuale.
Il mistero di questi due corpi ha avuto trasposizioni con Handke, Wilson, e con Ardant, ma il set che in scena realizza Katie Mitchell è eccezionale, con cameramen a ridosso di Nick Fletcher e Laetitia Dosch, quasi sempre nudi in una penombra, che si traduce in immagini proiettate sopra l’interno d’hotel, con a fianco una narratrice in cabina. Lui fa venire in mente Anthony Perkins in Psycho, lei L’origine del mondo di Courbet. Drammaticissimo, e freddo, il dialogo. Con aggiunta di illazioni (lei prostituta, donna-madre) estranee a Duras, ma in sintonia. Al film in diretta d’una camera ricorse anche Twin Rooms dei Motus del 2002, ma La Maladie de la mort è un intimo capolavoro tragico, visto al Lyceum Theatre che è diretto da David Greig, stimato autore che altrove ha proposto un’edizione ballroom del suo Midsummer. A registrare al Festival Theatre ovazioni da concerto è la formula rivoluzionaria che Wayne McGregor ha riservato ai suoi 10 performer per Autobiography, partendo da 25 sezioni che ogni sera si traducono in un montaggio di 23 pezzi in ordine casuale, quante sono le coppie di cromosomi del DNA. Noi leggiamo in alto i temi che si alternano, e i solisti o il gruppo s’inseriscono formidabilmente assumendo passioni, raccoglimenti e attriti della vita, in modo seriale, sotto una piattaforma di metallo che s’abbassa e s’alza con luci da galleria d’arte. Qui poi debutterà a ore Akram Khan in Xenos.