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 2018  agosto 19 Domenica calendario

In morte di Gaetano Gifuni

Filippo Ceccarelli per la Repubblica
Se n’è andato don Gaetano Gifuni, che come Segretario Generale del Senato e poi del Quirinale, fu assai vicino e altrettanto utile a svariati presidenti di un’epoca ormai abbastanza remota, Fanfani, Cossiga, Spadolini, Scalfaro, Ciampi. I quali, dalla metà degli anni 70 in poi, se lo tennero al fianco quale sommo sacerdote delle forme, pontefice massimo della prassi, insostituibile sciamano delle procedure, in pratica l’uomo che per loro conto individuava e vestiva le soluzioni politiche, in tal modo restituendo al potere il beneficio di una scienza quasi esatta e il lasciapassare delle istituzioni.
Aveva 86 anni e il prima possibile è bene dire che questi di oggi non erano più i suoi tempi, segnati come dovettero apparirgli da strappi, messinscene, nevrosi, sentimentalismi e altre indecorose intimità. Né più regnavano le sue virtù predilette, quelle che gli si erano così appiccicate addosso e con le quali a tal punto condivideva la sua esistenza da commis de l’État da assegnargli, nel felpato bisbiglio dei palazzi, addirittura due soprannomi. La proverbiale cautela l’aveva in effetti fatto ribattezzare “Prudenziano”; mentre una esemplare riservatezza era valsa a Gifuni l’appellativo di “Parolina”, nel senso che con quel diminutivo, come un tic, il Gran Ciambellano chiedeva, lì per lì, istantanea udienza al potente di turno, e a quel punto, in privato, vagliava suggeriva obiettava accomodava, ma poteva anche scorticare vivo qualcuno, “Parolina”, o sabotare qualsiasi tipo di relazioni o peggio mandare a ramengo qualunque equilibrio, senza però lasciarne traccia, tipo delitto perfetto.
Esemplare idealtipico della Prima Repubblica, diversi se ne trovò a compiere nella Seconda, che detestava. Nessuno più di lui capace di inceppare le facili semplificazioni maggioritarie o impantanare gli scatti di tanti leader carismatoidi fra le sabbie mobili degli eterni cavilli, dei risvolti insospettabili, dei “non si può perché” accompagnati da occhiate al cielo di ambiguo buonsenso e rassegnati sospiri di sospetta complicità.
Tutto oggi è cambiato, o continua vertiginosamente a cambiare, e chissà quanti ricordano quel signore alto dai grandi occhiali e i bianchi capelli lisci che si disponeva in seconda fila, ma centrale, spesso con le mani sul grembo, mimetizzandosi nel mare magnum di grisaglie o fra gli arazzi delle consultazioni quirinalizie, ombra translucida e sfuggente di un potere come non usa più – e sarà l’età, o il ricordo recente di Salvini al flipper o che fa le coccole hot sotto l’ombrellone alla sua bella, ma insomma: chi l’avrebbe mai detto che si sarebbe provata nostalgia di Gifuni?
Finto napoletano, pugliese in verità di Lucera, patria di Ruggero Bonghi e di Antonio Salandra, del quale il papà di don Gaetano fu uno dei collaboratori. Con il che, per ragioni famigliari preesisteva al regime dc. S’iscrisse giovanissimo alla Segreteria Generale di Palazzo Madama, la tenne dal 1975 al 1992 con una parentesi di ministro “tecnico”, nel Fanfani quinquies. Di tiepida estrazione liberale e ardente devozione mariana (la Madonna dell’Incoronata), accompagnò, forse pure rafforzò l’una e l’altra con un cornetto rosso – “Uè, guagliò!” – agganciato all’orologio da tasca, dono di Rino Formica, pugliese anche lui.
Eccellentissimo yesmen, saggio e sanguigno, diplomatico e sboccato, a suo modo un personaggio balzachiano, diceva “Calma, tutto si aggiusta” e operava per linee insieme metafisiche ed ermetiche per cui tutto in effetti si aggiustava, e a volta perfino si ribaltava, illuminandosi nel suo contrario.È riuscito anche a essere il papà di un grande attore intelligente, Fabrizio. Quando, negli anni di Ciampi, dovettero ristrutturargli l’ufficio al Quirinale, gli diedero una stanza lontana lontana, in fondo alla Manica lunga. Per raggiungere il Sancta Sanctorum doveva fare su e giù, su e giù. Allora Don Gaetano chiese ed ottenne un lucente triciclo nero. Così piace oggi di ricordarlo, che scivola silenzioso nei corridoi tirati a lucido del suo Palazzo (e meglio se non visto).

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Fabrizio de Feo per il Giornale
È stato «il» segretario generale del Quirinale, il grand commis per eccellenza, uomo potente, suggeritore ed eminenza grigia di due presidenti della Repubblica. Si è spento ieri in una clinica romana Gaetano Gifuni, ex braccio destro di Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi e, in precedenza, segretario generale del Senato. Nato a Lucera, in Puglia, aveva 86 anni ed era stato uno dei più apprezzati e potenti consiglieri giuridici e politici dei nostri Capi dello Stato.
Un uomo silenzioso, sempre lontano dal proscenio al punto da essere soprannominato Prudenziano, grande conoscitore delle leggi e del Parlamento. Era stato anche, per tre mesi, ministro per i Rapporti con il Parlamento in un governo elettorale presieduto da Amintore Fanfani. Ma era stata solo una parentesi nella sua lunga attività di servitore dello Stato. Al Quirinale arrivò come segretario generale a fine maggio del 1992, nominato da Scalfaro. Era la stagione delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio, un clima drammatico anche per i sommovimenti politici con l’inizio della delicata transizione dalla Prima alla Seconda Repubblica. Negli uffici del Colle rimase fino al 2006. Come «civil servant» ha svolto quasi 60 anni di servizio, di cui 17 da segretario generale a Palazzo Madama, dal 1975 al 1987. In mezzo anche i tre mesi da ministro per i Rapporti con il Parlamento in un governo Fanfani. Quando lasciò il ruolo gli rimase la funzione inedita di segretario generale onorario.
La notizia è stata anticipata dall’ex presidente della Camera Pierferdinando Casini: «Gifuni ha servito le istituzioni della Repubblica passando attraverso molte fasi della nostra storia. È stato un insigne giurista, un grande funzionario parlamentare e un devoto collaboratore di diversi Presidenti della Repubblica. Ho avuto modo di conoscerlo bene, in particolare, durante gli anni della mia presidenza alla Camera. L’Italia perde un uomo di grande valore e le istituzioni dovranno ricordarlo come merita» ha scritto il politico centrista. In una nota il presidente della Repubblica Sergio Mattarella scrive: «Partecipo al dolore della famiglia per la scomparsa di Gaetano Gifuni che ha servito per molti anni lo Stato con grande dedizione e profonda competenza».
Gaetano Gifuni è padre dell’attore Fabrizio Gifuni (un secondo figlio, Giovanni, è consigliere a Montecitorio). Una carriera mai ostacolata dall’illustre genitore. «Mentre frequentavo Giurisprudenza, senza dire niente in famiglia ho fatto l’esame all’Accademia d’arte drammatica e sono stato ammesso» raccontò in una intervista. «Da parte dei miei non ho visto lo sconcerto che mi aspettavo. Sia mio padre che mia madre hanno avuto una reazione attonita ma non contrariata. Era evidente che si preoccupavano e si chiedevano: Ma cosa va a fare? Ma sarà capace?». 
Gaetano Gifuni nel 2013 venne condannato per aver utilizzato la manodopera della tenuta presidenziale di Castelporziano per costruire alcuni mobili di legno destinati alla sua abitazione privata. Due anni dopo la Corte d’Appello lo assolse dall’accusa di peculato mentre per l’abuso d’ufficio intervenne la prescrizione.