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 2018  agosto 19 Domenica calendario

Benicio Del Toro: «Amo i personaggi oscuri, le vite al limite nate dalla letteratura»

Era già stato in uno 007 (Vendetta Privata, nel 1989), ma il film della sua rivelazione, I soliti sospetti, è arrivato cinque anni dopo. Era un tipo misterioso, Benicio Del Toro, con le ciglia che cadevano e gli nascondevano gli occhi. E la parlata ispanica. Era l’anti-eroe e Del Toro ha saputo mantenere questi tratti in film che vanno da Snatch e Sin City a Che, che gli è valso un premio a Cannes come miglior attore, e a Traffic con cui ha vinto un Oscar come non protagonista.
Ha avuto anche la sua esperienza galattica con Guerre stellari: L’ultimo Jedi e in un paio di Avengers. A 51 anni, l’attore di origini portoricane è in Soldado, il seguito di Sicario, dove resta un freddo killer con un suo codice morale, per la regia questa volta di Stefano Sollima. Dopo una parentesi di venti anni, eccolo poi in una serie televisiva, Escape at Dannemora: otto episodi diretti da Ben Stiller e basati sulla vera fuga, nel 2015, di due assassini ( uno è Del Toro, l’altro Paul Dano) da un carcere dello Stato di New York facilitata da una dipendente ( Patricia Arquette) con la quale entrambi avevano una relazione sessuale.
Ha avuto esitazioni a entrare nel seguito di «Sicario»? Ed è vero che state considerando un terzo film basato sugli stessi temi e personaggi?
«In effetti ero un po’ spaventato, perché Sicario è stato un buon film. Mi dicevo: ora ne faremo un altro e il regista non sarà nei paraggi e nemmeno il direttore della fotografia. Mi sembrava un po’ strano. Poi ho ricevuto la sceneggiatura, e ho pensato che fosse alquanto originale, con un sacco di momenti imprevedibili. Quindi è entrato in scena Stefano». 
Stefano Sollima. Come è andata con lui?
«Ciò che rende Stefano uno dei migliori registi con cui ho lavorato è la sua capacità di ascoltare e collaborare. Ho pensato che si stesse mettendo in qualcosa di difficile: un regista che viene dall’Italia negli Usa per fare un film americano che è un sequel con due attori che hanno già recitato gli stessi ruoli... Ma Stefano è stato aperto, si è preso il suo tempo. Ha un grande senso dell’umorismo, molto italiano, il che è un bene perché è simile all’umorismo latino. A differenza di Denis Villeneuve, che era canadese, il suo approccio alla violenza è stato diverso. Stefano è molto romano, mette le azioni “nel Colosseo”, mostra la violenza. Denis la suggeriva».
Sollima ha accolto i vostri suggerimenti?
«Assolutamente. Ha delle ottime maniere ed è piaciuto a tutti, al cast e a tutto il team».
E il terzo film della serie?
«Vediamo prima come va questo. Taylor Sheridan, che ha scritto la storia, ha detto che ha sempre visto Sicario come una trilogia. Se me lo chiedessero direi di sì. Sarebbe interessante vedere dove Taylor intende portare la storia».
Che cosa la attrae in questi personaggi così oscuri?
«Il fatto che abbiano un conflitto interiore e degli ostacoli da superare. Sono personaggi interessanti da esplorare, sono i personaggi che ho letto in letteratura. Perché la vita è un po’ così, tutti abbiamo i nostri alti e bassi, tutti dobbiamo affrontare un conflitto. Questi personaggi in qualche modo mi scelgono. Li invito e mi trovano. Nell’ultimo film recito la parte di un killer senza cuore. Ma è anche uno che si sta permettendo di avere una coscienza. Non è innocente. E anche se fa la scelta morale giusta, non sto dicendo che è un bravo ragazzo e che dovremmo perdonarlo per tutto ciò che ha fatto».
Passiamo alla nuova serie televisiva. Come cambia l’esperienza di attore?
«Più che in una serie è stato come lavorare in un film di otto ore. L’approccio a ciò che faccio non cambia. Qui però c’è stata una difficoltà. Quando faccio un film di due ore ho l’intero film nella mia testa. Anche se giriamo fuori ordine, riesco a mettere quelle due ore nella mia testa e a sapere dove sono in ogni momento. Qui, con otto ore, mi sono sentito perso un paio di volte. La pressione era più forte per questo motivo. Dovevo essere concentrato per periodi di tempo più lunghi e ho dovuto avere maggiore fiducia nel mio regista, ma Ben Stiller era sempre molto centrato».
Per realizzare la serie ha parlato con detenuti, ha dormito in una cella. Che cosa le mancherebbe di più se dovesse ritrovarsi in prigione?
«Ciò che diamo per scontato, ovvero la libertà. Se voglio chiamare qualcuno posso farlo dove e quando voglio. Se voglio mangiare qualcosa, lo stesso. Penso che mi mancherebbe poter viaggiare. Mi mancherebbe il poter dormire nella privacy della mia stanza. Mi mancherebbe la vita, perché essere in prigione non è più vita».