La Stampa, 19 agosto 2018
Le tribù da Niger e Ciad, nuova minaccia agli equilibri della Libia
L’accordo fra le tribù del Fezzan firmato l’anno scorso a Roma si sta sgretolando sotto pressioni esterne sempre più forti. L’ultimo elemento è l’infiltrazione delle tribù Tebu libiche da parte di elementi della stessa etnia provenienti da Niger e Ciad, propensi ad alimentare di nuovo il conflitto per guadagnare potere e risorse. Nelle tensioni si sono inseriti il generale Khalifa Haftar e i francesi. La regione sud-occidentale della Libia, al centro dei traffici di esseri umani ma dove ci sono anche giacimenti di petrolio, compreso il più grande dell’Eni in territorio libico, è tornata al centro delle rivalità locali ed europee.
La caduta di Gheddafi
Dalla caduta di Muammar Gheddafi nel 2011 tre gruppi si sono contesi il potere nel Fezzan. I Tuareg, popolazione berbera che vive anche nella confinante Algeria, la tribù araba dei Aulad Suleiman, e infine i Tebu, una popolazione di etnia e lingua africana. La fine della dittatura ha portato alla luce rivalità irriducibili, che si erano già espresse nella guerra in Ciad degli Anni Ottanta, quando i Tebu stavano con Gheddafi e i Tuareg contro.
La mediazione italiana, cominciata nel 2015 sotto gli auspici della Comunità di Sant’Egidio, era stata finalizzata dall’ex ministro dell’Interno Claudio Minniti il 3 aprile scorso. L’accordo era riuscito soprattutto a portare i Tebu vicino alle posizioni di Roma, interessata a sigillare il confine con il Niger per stoppare il flusso di migranti. Milizie Tebu avevano cominciato a controllare i posti di frontiera e nuovi equilibri dovevano essere completati da una missione militare italiana in Niger, poi abortita dall’opposizione del governo nigerino e della Francia. A partire da questa primavera le posizioni italiane si sono indebolite sempre più.Il primo colpo è stato un incontro fra le tribù del Fezzan a Niamey, sotto regia francese, lo scorso 12 aprile. Al termine del vertice il leader degli Aulad Suleiman, Senussi Omar Massoud, ha accusato il governo di unità nazionale di Tripoli guidato da Fayez al-Sarraj, quindi anche l’Italia, di «non aver rispettato l’accordo di Roma», che andava «completato» dall’iniziativa francese. Gli Aulad Suleiman sono sempre stati ostili a Gheddafi, e adesso ad Haftar, e finora erano rimasti più vicini al governo di Al-Sarraj.
L’influenza francese
I Tuareg sono invece da sempre alleati della Francia. Quindi l’ultima carta in mano all’Italia restavano i Tebu. Qui si sono inserite due nuove interferenze. La prima deriva dalla battaglia fra Haftar e Al-Sarraj per il controllo dei pozzi petroliferi, riesplosa all’inizio di quest’anno. Il centro del conflitto è sulla costa, nella cosiddetta Mezzaluna del Petrolio, ma ha ricadute anche nel Fezzan. Il giacimento conteso in questa regione è l’Elephant Field, conquistato dai Tebu nel 2015 e poi ripreso dalla Guardia petrolifera alleata di Tripoli.
Ora, mentre Haftar sta preparando una nuova offensiva per riprendersi la Mezzaluna petrolifera, elementi all’interno dei Tebu sono di nuovo propensi ad allearsi con il generale, anche nella speranza di assicurarsi una fetta delle risorse petrolifere. Il figlio del capo della tribù, Abu Bakir, ha dichiarato alla testata «The New Arab» che «gli islamisti hanno fallito, i libici vogliono stabilità, per questo preferiscono Haftar», una dichiarazione di alleanza. Ma i Tebu sono alle prese con un secondo elemento di destabilizzazione, l’infiltrazione di combattenti della loro stessa etnia, ma di nazionalità ciadiana e nigerina.
Sono milizie che, secondo fonti locali, hanno già preso il controllo di varie località, come Qataroon, Murzuq (dove c’è il petrolio), Traagin, e Um Aramib, ma non si capisce al servizio di chi. Gli arabi accusano i Tebu di «ospitare questi mercenari per prendersi tutto il Fezzan». La leadership Tebu sostiene invece di essere impegnata, al fianco di Haftar, nel respingere gli intrusi. Un caos che non promette niente di buono.