La Stampa, 19 agosto 2018
Giuliano Montaldo: «Ho visto mio padre ricostruire la casa. Neanche la guerra ha piegato Genova»
Ho cercato di seguire in televisione i funerali delle vittime del crollo del Ponte Morandi. Ma quelle scene mi hanno provocato un’ulteriore ferita: è stata durissima vedere quei volti consumati dal dolore causato da questa tragedia incredibile che ha colpito Genova, la mia città, il luogo in cui sono nato e che continuo ad amare, anche se da molto tempo vivo a Roma. Ma forse proprio per questo, perché sono lontano, l’amore che provo per Genova è ancora più forte.
Quando ho ricevuto la notizia e ho visto le immagini del ponte crollato sono rimasto impietrito. Quando venne inaugurato, nel 1967, tutti parlavano del Ponte di Brooklyn, e io da genovese ne ero orgoglioso. Però quando l’ingegner Morandi progettò quella struttura non aveva certo idea che sarebbero passati dei Tir delle attuali dimensioni, con tonnellate di carico, che il traffico sarebbe cresciuto in modo massiccio. Dagli Anni Sessanta a oggi chissà che peso ha dovuto sopportare quel ponte e quindi si doveva prestare più attenzione sugli effetti del traffico. C’è stata un’incuria evidente.
Genova e tutta la Liguria sono appoggiate alle montagne che scendono al mare. Se si prende l’autostrada, o anche se si viaggia in treno, dalla Spezia verso Ventimiglia e ancora oltre per la Francia, è tutto un susseguirsi di gallerie, ponti, viadotti. Si vedrà il mare per non più di venti minuti, si entra in un buco nella montagna e poi si spunta su un viadotto. Si viaggia in alto, come a Genova sulla Sopraelevata dalla Foce a Sampierdarena. Credo che in Europa non esista nulla di simile, che nessun Paese come l’Italia abbia avuto la drammatica necessità di perforare la montagna per poter realizzare collegamenti, passando da una galleria all’altra, da un viadotto all’altro. È sempre stato così, dalla Camionale dei Giovi degli Anni Trenta fino alle opere più recenti. Viaggiamo tutti giorni su un aeroplano con le ruote che «vola» sui viadotti, e se ci levano la terra sotto i piedi quell’aeroplano crolla.
Quando noi entriamo in autostrada paghiamo un pedaggio. Paghiamo per poter viaggiare in sicurezza, per la nostra tranquillità. Quando mi è capitato di passare sul Ponte Morandi, viaggiando dall’aeroporto verso il centro città, guardando quei tiranti, devo dire che qualche volta un brivido l’ho provato.
Quando ne ho occasione torno sempre volentieri a Genova per andare a trovare mia sorella, mia nipote e le persone care. Quando ho avuto la notizia del crollo ho subito telefonato a un amico che ha un’attività, un magazzino vicino al ponte. Non è ancora riuscito ad accedere alla struttura, ma lui vuole riprendere subito a lavorare, per la sua famiglia, per chi lavora con lui. Questo è un atteggiamento tipico dei miei meravigliosi concittadini.
Provo il grande orgoglio di essere genovese perché ho vissuto il Dopoguerra, da ragazzo, e ho visto la grinta, la forza, la volontà dei genovesi, il loro impegno a combattere, a ricostruire, ad andare avanti. Abitavamo nella zona di via Frugoni, nel centro cittadino e avevamo avuto la casa danneggiata. L’altra notte mi è tornato in mente mio padre quando si mise a ricostruire quella casa. Allora vidi teatri distrutti, chiese distrutte, palazzi crollati, ma poi sono stati tutti ricostruiti. Certo, non si può ricostruire un ponte da soli, però sono sicuro che Genova reagirà, anche se ci chiederemo più volte come è potuto accadere un simile disastro. Perché ci si può fare una ragione di un terremoto, ma non di una morte così. Persone che andavano in vacanza, famiglie, amici, altre che andavano a lavorare.
Anche quando c’è stata l’alluvione, Genova è stata duramente colpita ma si è rialzata. La città, il suo porto, devono lavorare e noi dobbiamo vivere. Le merci devono muoversi, altrimenti la città rischia di rimanere soffocata. Bisogna agire, e in fretta, per liberare il Polcevera dai detriti, perché le piogge non causino altri problemi. Bisogna smetterla di polemizzare e lavorare tutti uniti. Tornare a pensare al progetto della Gronda, momentaneamente accantonato. Anche le strade ferrate devono essere messe in sicurezza, incrementandone il traffico, e si deve andare avanti con i lavori per la messa in sicurezza dei corsi d’acqua.
Mi domando se era necessario che crollasse un ponte per aprire il dibattito sullo stato di salute delle nostre autostrade. Nella polemica politica, ognuno rimbalza le colpe sull’avversario. Pensiamo invece alle vittime, agli sfollati, a chi ha voluto celebrare una funzione funebre privata, segnale di una grande amarezza. In Italia abbiamo bisogno di un ministero della sicurezza, per la tutela delle reti autostradali e ferroviarie.
Ce la faremo anche questa volta, però tragedie come questa non devono mai più accadere. La cosa su cui non ho dubbi è la grinta, la tenacia, dei miei concittadini. Li abbraccio tutti forte, con grande affetto.
(Testo raccolto da Andrea Plebe)