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 2018  agosto 19 Domenica calendario

La nazionalizzazione di Autostrade costa venti miliardi di euro (anche senza penali)

Entrando ai funerali delle vittime del crollo di ponte Morandi, Luigi Di Maio si è rivolto sicuro ad uno dei familiari: «Stai tranquillo, questi i nostri ponti e le nostre strade non li gestiranno mai più». Se ciò avverrà davvero lo si capirà solo nelle prossime settimane. La promessa fatta ieri da Autostrade di stanziare mezzo miliardo di euro per la gestione dell’emergenza e la ricostruzione del ponte potrebbe convincere il governo a rinunciare alle soluzioni più radicali. In queste ore la Lega sembra orientata a trattare, i Cinque Stelle più decisi ad andare avanti con la revoca della concessione. Proviamo allora a immaginare cosa accadrebbe concretamente se il governo decidesse per la rinazionalizzazione delle autostrade. L’operazione è tecnicamente possibile, ma costerebbe al contribuente non meno di venti miliardi di euro, anche escludendo l’obbligo di pagare una penale ai proprietari della società – la famiglia Benetton – e ai suoi azionisti. Vediamo perché.
 I numeri della società
Autostrade è la società controllata da Atlantia per la gestione di 2.854 chilometri di asfalto da Tarvisio a Taranto. L’anno scorso ha fatto utili per poco di un miliardo di euro, ha debiti verso i fornitori per 1,3 miliardi e raccolto sul mercato obbligazionario altri sette miliardi e mezzo. Dà lavoro a 7.428 persone, due terzi delle quali impegnate direttamente nella gestione e manutenzione della rete sul territorio. Ipotizziamo dunque che lo Stato faccia ciò che Di Maio ha promesso a Genova, e restituisca ad Anas – di fatto il principale concorrente pubblico di Autostrade – la gestione della rete: sarebbe il ritorno alla situazione precedente la privatizzazione di fine anni Novanta. Da un punto di vista strettamente finanziario, l’operazione è percorribile: Anas subentrerebbe nella concessione, e con essa prenderebbe possesso dei ricavi delle vecchie Autostrade. Un’autorevole fonte del settore che chiede l’anonimato la spiega così: «È come il subentro nella gestione di una qualunque attività commerciale: i dipendenti e i loro contratti verrebbero ceduti insieme ad essa». Più del settanta per cento dei ricavi di Autostrade vengono dai pedaggi: il subentro nella concessione da parte di Anas permetterebbe quindi di pagare i dipendenti della società e di finanziare gli investimenti promessi, esattamente come ha fatto fino ad oggi la società controllata dalla famiglia Benetton. Ciò non significa che l’operazione sarebbe indolore per il contribuente.
I rischi
Primo: le penali. La convenzione firmata fra lo Stato e Autostrade prevede un indennizzo in caso di revoca pari ai minori ricavi di qui al 2038, ai quali si aggiungerebbero gli eventuali danni riconosciuti da un giudice. La tesi di Palazzo Chigi – assistito da Guido Alpa, maestro di diritto del premier Conte – è che codice civile e degli appalti permetterebbero di evitare il mega esborso. La battaglia legale sarebbe lunga e carica di incognite, rendendo l’operazione di rinazionalizzazione molto incerta negli esiti. Ma anche immaginando lo scenario più ottimistico – sul quale peraltro molti giuristi sollevano dubbi – i costi ci sarebbero comunque. Lo Stato dovrebbe infatti farsi carico delle obbligazioni emesse – i sette miliardi e mezzo sopracitati – che dovrebbero essere coperte dallo Stato con un aumento del debito di pari valore. Lo Stato dovrebbe farsi carico degli 1,3 miliardi di debiti della società, e della perdita di valore lamentata da azionisti ed obbligazionisti. Una delle battaglie politiche di maggior successo dei Cinque Stelle in questi anni è stato il riconoscimento dei risarcimenti ad azionisti ed obbligazionisti delle banche fallite durante il governo Renzi: difficile immaginare che usino un doppio standard per i piccoli risparmiatori coinvolti dal tracollo di società Autostrade e dalle conseguenze in Borsa per il titolo della controllante Atlantia. Una settimana fa quel titolo capitalizzava circa venti miliardi, oggi oscilla attorno ai sedici. Infine c’è l’inevitabile aumento di capitale che andrebbe sostenuto per permettere ad Anas di farsi carico dei debiti di Autostrade. Per evitare un ulteriore aumento del debito pubblico potrebbe farlo la holding del gruppo Ferrovie, la quale – così dice la legge approvata dal precedente governo – dovrebbe incorporare la stessa Anas. Peccato che proprio il ministro Toninelli, prima dell’incidente di Genova, ha promesso di fermare la fusione fra le due società.