19 agosto 2018
Corsivi e commenti
Sintesi
La Stampa
Il comunicato di Autostrade
si potrebbe sintetizzare
in sei parole:
«Scusateci, non l’abbiamo fatto apposta».
Jena
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Applausiil Fatto Quotidiano
Di solito gli applausi ai funerali suonano sguaiati e stonati, rispetto ai doveri del silenzio e del raccoglimento. Ogni tanto però, specialmente nei funerali di Stato dopo le grandi tragedie nazionali, seguiti dalle tv e dalla stampa, chi batte le mani ai morti e anche a qualche vivo lo fa per dire qualcosa che mai più avrà occasione di dire o, se l’avrà, non troverà nessuno ad ascoltarlo. Accadde ai funerali per le migliaia di vittime del terrorismo nero e rosso, ma anche delle incapacità e/o complicità istituzionali. Accadde nel 1992-‘93 alle esequie di Falcone, di Borsellino, degli uomini delle scorte e delle altre vittime delle stragi politico-mafiose (ci andò di mezzo il presidente Scalfaro, sottratto al linciaggio dal pm Ayala, applauditissimo come i magistrati superstiti raccolti attorno al vecchio Caponnetto). Accadde alle messe di suffragio dopo i tanti terremoti e alluvioni aggravati dalle colpe dello Stato: applausi alle bare, alla protezione civile, ai vigili del fuoco, ai volontari, fischi e improperi ai rappresentanti delle istituzioni. É accaduto ieri a Genova, ma con un fatto senza precedenti da tanti anni: la gente ha accolto con un boato di applausi il presidente Mattarella, il premier Conte e i suoi vice Di Maio e Salvini, fischiando invece i pd Martina e Pinotti (visti, a torto o a ragione, come simboli di una stagione da archiviare e di un partito incredibilmente più angosciato dal crollo del titolo Atlantia che da quello del ponte).
Certamente è una buona notizia che una volta tanto, e in un momento di così forte smarrimento, gli italiani si stringano attorno alle proprie istituzioni e se ne sentano rappresentati senza vergognarsene. [...]
Fossimo in Conte, in Di Maio e in Salvini, però, eviteremmo di dormire sugli allori e sugli applausi come se fossero dovuti ed eterni. Anzi, ne saremmo sinceramente sgomenti per il carico di responsabilità che comportano. Se la sciagura del ponte fosse accaduta non 70 giorni, ma sette mesi dopo la nascita del governo giallo-verde, molti applausi si sarebbero trasformati in fischi e insulti. [...] La standing ovation al premier e ai suoi vice dipende certamente dalla loro gestione risoluta e intransigente della tragedia. Ma ancor più dalla loro estraneità – almeno percepita – all’Ancien Régime. Ora, col passare dei mesi e delle prime scelte inevitabilmente divisive, quell’alone di estraneità evaporerà. E con esso una parte del consenso plebiscitario che oggi li accompagna fra due ali di folla plaudente. Il che non esclude affatto che il presunto “primo governo populista d’Italia” resti molto popolare. Ma è improbabile che continui a piacere a così tanti italiani. Il consenso di chi piace perché “prima non c’era” è effimero e passeggero. E nessuno lo sa meglio di Matteo Renzi: il suo bagno di folla lo ebbe nel maggio 2014, meno di tre mesi dopo la sua salita a Palazzo Chigi, quando sulle ali della rottamazione e degli 80 euro stravinse le elezioni europee col 40,8% dei voti. Dopodiché divenne rapidamente lui stesso establishment, e in forme e modi talmente simili a quelli dei predecessori che aveva giurato di rottamare, da esservi accomunato da tutti e poi travolto dall’ondata generale di discredito. Ma lo sanno benissimo anche i giallo-verdi, finora vissuti di rendita raccattando gli scontenti di una lunga stagione che ha visto “gli altri” al governo e 5Stelle&Lega solitari all’opposizione. [...]
La stagione “anti-sistema” è finita, perché ora il “sistema” sono loro. E sta a loro dimostrare che è un sistema nuovo, diverso e migliore. Chi ieri li applaudiva si aggrappava disperatamente all’ultimo brandello di ponte, cioè di Stato, rimasto in piedi fra tante macerie e tanti morti. Ma la sua fiducia è tutt’altro che infinita. Come la sua pazienza.
Marco Travaglio
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Lutto
la Repubblica
Un minuto di silenzio per un lutto nazionale: è giusto, è poco? Rinviate le partite di Samp e Genoa: un luttino? E comunque i tifosi di Genoa e Samp l’avevano già deciso per conto loro, e comunicato subito: noi allo stadio non ci andiamo.
Ma anche i tifosi della Fiorentina l’avevano detto: noi a Marassi non ci andiamo. Scelte rispettabili, non obbligate. Le condivido. Mi succede abbastanza spesso di criticare i tifosi, quei tifosi che si inventano agghiaccianti cori da stadio, che non rispettano nemmeno i morti di Superga, dell’Heysel, che si addestrano in gesti razzisti dentro e fuori gli stadi, se vogliamo chiamare le cose col loro nome. Altrimenti, facciamo finta di credere alla goliardata, e avanti a scherzare col fuoco. Ma questa decisione dopo il crollo del ponte Morandi merita una riflessione. Non è vero che i tifosi sono, tutti e sempre, sporchi, brutti e cattivi. Nel momento del dolore sanno da che parte stare, pensiamo ad Astori, a Morosini. Allora il calcio si fermò in blocco, adesso no, e nemmeno dopo il terremoto di Amatrice s’era fermato. Adesso, un minuto di silenzio, si spera rispettato. Non è molto, un minuto di silenzio davanti alle facce dei morti, giovani, sorridenti, gente che lavorava o andava in vacanza o dalla vacanza ritornava. Fermo restando il rinvio per le partite delle due genovesi, la soluzione più logica sarebbe stata quella di spostare a oggi le partite di Verona e Roma, rispettando la giornata dei funerali di Stato. Me lo fa credere l’applauso ai giocatori di Genoa e Samp, che ai funerali si sono presentati mescolati, com’è giusto, perché la sola maglia da indossare, ieri, era quella grigia del dolore. Un applauso alla presenza, alla partecipazione. Il nostro lutto è il vostro, anche se qualcuno di voi è arrivato a Genova da pochi giorni, ma ha capito ugualmente.
Molto più dell’amore, il dolore di una città non ha bisogno di spiegazioni: c’è, affilato e pesante.
C’è stato, meno affilato e pesante, un giro di dichiarazioni e schieramenti sul tema. Per Roberto Fabbricini, che ha cambiato idea dalla mattina al pomeriggio, una domenica senza calcio avrebbe avuto un senso solo azzerando ogni spettacolo, sportivo e non sportivo.
Attualmente a capo della Federcalcio c’è lui, ma la decisione l’ha presa la Lega (calcio, non Salvini). Per il presidente della Lega Serie A, Micciché, «una decisione equa, rispettosa, concordata». Voto 6, subisco il fascino del triplo aggettivo. Il collega Hemingway ne avrebbe cancellati due, ma così va il mondo. Più stimolante, invece, una frase di Micciché su iniziative di solidarietà a favore delle vittime di Genova. Trascrivo dal Corsera: «Mi impegnerò personalmente affinché la Lega sia promotrice di un’iniziativa seria e approfondita, con denari veri, diversa dai modelli del passato». In passato c’erano iniziative di solidarietà con soldi finti, o scomparsi? Ci può dire Micciché, per favore, quali erano i modelli del passato?
Per Salvini (Lega) e il presidente Ferrero non si doveva giocare. Per Damiano Tommasi, dell’Assocalciatori, il lutto al braccio è già un segnale molto forte. Sarà, ma sono curioso di vedere come difenderà Tommasi lo sciopero dei calciatori, se ci sarà, per il format della Serie B. Simone Inzaghi ha detto che si gioca perché così ha deciso la Lega, ma un minuto di silenzio è poco. Lega Pro e Serie D , sempre calcio è, hanno rinviato tutte le partite di oggi.
Gianni Mura