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 2018  agosto 19 Domenica calendario

Bitcoin, compleanno sull’ottovolante

Negli ultimi giorni le maggiori valute digitali hanno fatto registrare perdite generalizzate, con oscillazioni al ribasso da ottovolante. E si è tornati a parlare di crisi delle criptovalute. Ma è davvero così? Eppure non è la prima volta che si assiste a repentine cadute (e successivi rimbalzi) di Bitcoin (e sorelle). La domanda semmai è allora un’altra? Possono le criptovalute assurgere a ruolo di beni rifugio? Ecco, in questo caso, probabilmente, bisogna tenere conto che le criptovalute nascono proprio come antitesi al rifugio/risparmio.
Bitcoin è un sistema anarchico, che rifugge alle regolamentazioni. Pensare di trasformarlo nel libretto postale, oggettivamente, è una forzatura. Eppure è vero che in un contesto geopolitico instabile come quello attuale, anche le criptovalute sono viste come beni sicuri, o comunque più sicuri rispetto a valute in corso di implosione. Il caso della lira turca, con le sue oscillazioni rispetto al dollaro statunitense e con i suoi 50 punti percentuali persi dall’inizio dell’anno, è emblematico. Certo, parlare di minore volatilità nel caso di valute digitali è senz’altro azzardato, ma, almeno nell’immaginario collettivo, il web è più attraente di sistemi monetari legati a Stati in prefallimento (basti pensare anche al caso del Venezuela e dello Zimbabwe), che proprio per questo sono del resto molto ostili ad azioni di disimpegno di capitali. Ma, come noto, il controllo sui movimenti in criptovalute è molto più difficile rispetto a quello che accade nei mercati regolamentati e nei sistemi bancari formali. Certo, le criptovalute in genere e Bitcoin in specie hanno dimostrato in questi ultimi giorni di essere molto volatili. Dopo un rialzo a fine luglio sopra gli 8.000 dollari, Bitcoin, ai primi di agosto, è poi scivolato di nuovo sotto i 7.000, arrivando a perdere circa il 20% rispetto alla stessa ora di una settimana prima e registrando un -70% rispetto al massimo storico di 16.000 dollari. 

LA TECNOLOGIALa probabile sopravvivenza di Bitcoin e delle criptovalute in generale è però legata a due importanti fattori: la rilevanza della tecnologia blockchain e l’effetto millennials, i quali dimostrano fiducia in questi nuovi strumenti di investimento, risultando invece diffidenti verso i mercati azionari. E, in questo caso, quello che fa la differenza non è tanto un ragionamento economico, quanto piuttosto, da una parte, l’attrazione per la decentralizzazione e, dall’altra, anche l’effetto psicologico legato alla crisi finanziaria di questi ultimi anni. E non è un caso, infatti, che Bitcoin sia nato proprio nel 2008, anno della grande crisi americana, come metodo alternativo per scambiare denaro senza passare per i canali bancari ufficiali, ormai ritenuti inaffidabili. Assistiamo quindi, senz’altro, ad uno scontro tra sistemi finanziari, laddove non può sfuggire che, spesso, i ribassi delle criptovalute seguono a proclami di inaffidabilità lanciati proprio da parte della comunità finanziaria tradizionale. 

I NODI
Le fluttuazioni avvengono anche per effetto di una serie di notizie negative (come anche gli annunci regolatori degli Stati, Cina e Corea del Sud in primis), che spingono gli investitori a liberarsi della moneta virtuale. Come avvenuto per il crollo di febbraio, quando uscirono indiscrezioni di stampa secondo cui i vertici della Sec avevano intenzione di chiedere al Congresso americano di istituire un controllo federale sulle piattaforme per gli scambi di monete digitali. Certo, una criptovaluta statale sarebbe più stabile, anche se questo sarebbe un vero e proprio ossimoro, dato che il principio cardine alla base delle criptomonete è l’assenza di un’autorità emittente. Immaginare però che alcuni Stati decidano che le criptovalute sono la nuova moneta, di cui si riservano il monopolio, potrebbe non essere fantaeconomia e dimostra comunque come ogni previsione sul futuro delle monete digitali passa anche, necessariamente, dalla politica, nazionale e soprattutto internazionale. È lì che si deciderà il futuro delle valute digitali. Magari dando vita ad una moneta elettronica sovranazionale di riferimento, alla quale le criptomonete nazionali si riferiscano. Basti pensare, a tal proposito, ai Diritti Speciali di Prelievo (DSP), una moneta artificiale che dipende dal valore di un paniere delle principali monete mondiali, ossia dollaro, euro, sterlina, renminbi e yen, e che, tramite una trasformazione in criptovaluta da utilizzarsi nei pagamenti internazionali, potrebbero anche assumere un tale ruolo. 
Bitcoin comunque finirà, anche considerata la sua scarsità artificiale: come, l’oro, che presenta una scarsità naturale, legata alla quantità disponibile della risorsa, bitcoin è caratterizzato da una scarsità artificiale, determinata dal protocollo informatico. Il sistema blockchain è una tabella che elenca tutte le transazioni più recenti. Questa tabella, tuttavia, ha un limite di un megabyte, che, adesso, visto l’aumentare delle transazioni, causa una certa lentezza del sistema. E la lentezza impedisce, di fatto, di usare tale moneta in molti tipi di scambi (per esempio nei negozi dove la consegna del bene è contestuale al pagamento). Così, alcuni tra i primi pioneri della moneta hanno deciso di sviluppare Bitcoin in Bitcoin XT, che ha portato a 8 megabyte la dimensione dei blocchi nella blockchain, puntando inoltre a raddoppiare le dimensioni ogni due anni, arrivando a quota 8 GB nel 2036. Eppure anche Bitcoin XT ha avuto in questi giorni ribassi notevoli. Le criptovalute sono dunque un mondo in evoluzione, a ritmi impensabili fino a solo qualche anno fa e forse talmente veloci da precorrere anche ogni previsione.