Corriere della Sera, 17 agosto 2018
I roghi d’auto che mettono in crisi la Svezia
«Sembra un’operazione militare, sono infuriato», ha detto Stefan Löfven, davanti ai video che mostravano decine di incappucciati bruciare auto e negozi. «E si sospetta che questa roba sia stata coordinata con i social media».
Ma in realtà neppure lui, primo ministro di una Svezia che domenica 9 settembre andrà alle urne per le elezioni più incerte degli ultimi decenni, sa che cosa stia veramente accadendo nel suo Paese. Circa 90 auto sono state bruciate nelle ultime notti a Göteborg, Stoccolma, Malmö e altre città, lontane anche centinaia di chilometri fra loro. Tre giovani dai 16 ai 21 anni sono stati fermati, uno dalla polizia turca subito dopo essere volato a Istanbul. Ma l’ipotesi del terrorismo islamico è solo una fra diverse altre. C’è chi batte la pista del «semplice» vandalismo giovanile legato all’imminente ripresa delle scuole. Chi pensa a un inizio di rivolta sociale motivata dalle disuguaglianze economiche di certe periferie, soprattutto a Göteborg e Malmö: «Trattateci come animali e ci comporteremo come animali», ha dichiarato un giovane mascherato in un video diffuso dal giornale Expressen. E c’è anche chi, come un deputato del partito della Sinistra, afferma: «Non sarei sorpreso se in questi attacchi fossero coinvolti estremisti dell’ultradestra».
È un sospetto condiviso da altri, quello su un piano generale di destabilizzazione, ed è basato sul momento molto particolare attraversato dal Paese. C’è un governo di coalizione composto da due partiti: quello più grande e venerando dei socialdemocratici e quello più giovane e snello dei Verdi. Finora è riuscito a conservare alla Svezia il suo profilo moderato, liberale, progressista, su cui veglia una monarchia costituzionale molto legata all’Unione Europea. Ma all’orizzonte ci sono anche i populisti–nazionalisti di estrema destra, cioè i Democratici Svedesi, che crescono nei sondaggi facendo leva sui problemi irrisolti dell’immigrazione, e che sono ormai il terzo partito del Riksdag, il Parlamento di Stoccolma. I risultati dell’ultimo sondaggio Demoskopea, condotto fra l’8 e il 15 agosto, assegnano per il 9 settembre la vittoria elettorale ai socialdemocratici, con il 23,6% dei voti. Ma il partito conservatore dei Moderati, e quello dei Democratici Svedesi, ormai virtualmente alleati, premono alle loro spalle.
Un soffio, o quasi, divide le due possibili coalizioni contrapposte: quella di centro-sinistra (socialdemocratici, Sinistra, Verdi) con il 39% dei voti, e una di centro-destra guidata dai Democratici Svedesi con il 39,2%. Almeno potenzialmente, è già quest’ultima il primo schieramento nazionale, ma per il nuovo Parlamento si preannunciano in ogni caso tempi di burrasca.
Le auto bruciate, con la sensazione di caos diffusa nelle città, potrebbero essere il primo segnale che qualcuno sta mestando nel torbido, da una parte o dall’altra. Ma l’instabilità potrebbe essere favorita anche da una parola esplosiva, appena seminata nella campagna elettorale proprio dai Democratici svedesi: «Swexit». È l’auspicio di un’uscita della Svezia dall’Ue, sulla scia della «Brexit»: Jimmie Akesson, appunto il leader dell’ultradestra, ha detto chiaro e tondo che il suo partito vuole un referendum su questo. «L’Ue non è il modo per cooperare con l’Europa – parole scandite in un’intervista – credo che dovremmo rinegoziare la nostra posizione, e poi il popolo dovrebbe poter dire la sua».