17 agosto 2018
Corsivi e commenti
Giustizia
Corriere della Sera
«Per revocare la concessione ad Autostrade non possiamo aspettare i tempi della Giustizia». Detta da un presidente del Consiglio che è anche avvocato, la frase fa un certo effetto, per quanto appaia perfettamente in linea con altri tempi, quelli della comunicazione e della politica. La dittatura dell’istante, in cui ci ha precipitati l’avvento dei social, impone al governo Conte di decidere sull’onda dell’emozione. Il ponte collassato di Genova sarà presto oscurato da nuove emergenze e, prima della sentenza definitiva, chissà quante altre cose ci saranno cadute sulla testa, in questo Paese che scricchiola come una porta di Hitchcock.Ma a rendere il Potere impulsivo contro natura (di solito impulsive sono le opposizioni) è l’uso partigiano che ormai tutti fanno di categorie assolute come il garantismo e il giustizialismo. Il garantismo si applica ai propri cari, il giustizialismo ai cari degli altri. Renzi auspicò le dimissioni della Cancellieri, ministra di Letta, sventolando ragioni di opportunità che si guardò bene dall’evocare per i ministri suoi. E Di Maio, giustamente scandalizzato dai guai giudiziari degli anti-Raggi, apparve più comprensivo con quelli della Raggi medesima. Ai Benetton, che il governo ha iscritto d’ufficio al Pd nella corrente dei miliardari senza cuore, si applica dunque lo schema giustizialista, con i cinquestelle nella parte dei vendicatori implacabili e i leghisti in quella di chi tratta col nemico per una più prosaica riparazione in denaro.
«Per revocare la concessione ad Autostrade non possiamo aspettare i tempi della Giustizia». Detta da un presidente del Consiglio che è anche avvocato, la frase fa un certo effetto, per quanto appaia perfettamente in linea con altri tempi, quelli della comunicazione e della politica. La dittatura dell’istante, in cui ci ha precipitati l’avvento dei social, impone al governo Conte di decidere sull’onda dell’emozione. Il ponte collassato di Genova sarà presto oscurato da nuove emergenze e, prima della sentenza definitiva, chissà quante altre cose ci saranno cadute sulla testa, in questo Paese che scricchiola come una porta di Hitchcock.Ma a rendere il Potere impulsivo contro natura (di solito impulsive sono le opposizioni) è l’uso partigiano che ormai tutti fanno di categorie assolute come il garantismo e il giustizialismo. Il garantismo si applica ai propri cari, il giustizialismo ai cari degli altri. Renzi auspicò le dimissioni della Cancellieri, ministra di Letta, sventolando ragioni di opportunità che si guardò bene dall’evocare per i ministri suoi. E Di Maio, giustamente scandalizzato dai guai giudiziari degli anti-Raggi, apparve più comprensivo con quelli della Raggi medesima. Ai Benetton, che il governo ha iscritto d’ufficio al Pd nella corrente dei miliardari senza cuore, si applica dunque lo schema giustizialista, con i cinquestelle nella parte dei vendicatori implacabili e i leghisti in quella di chi tratta col nemico per una più prosaica riparazione in denaro.
Massimo Gramellini
***
Sostituti
La Stampa
I politici di oggi visti
da Tomasi di Lampedusa:
«Noi fummo i gattopardi, i leoni.
Chi ci sostituirà saranno gli sciacalli,
le iene…».
Jena
La Stampa
I politici di oggi visti
da Tomasi di Lampedusa:
«Noi fummo i gattopardi, i leoni.
Chi ci sostituirà saranno gli sciacalli,
le iene…».
Jena
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Cretini
Il Foglio
Niente Gronda, niente variante, basta grandi opere. Già. Ma tacessero, per una volta, sulla mia città ferita, i cretini alla Travaglio. Il cuore stesso di Genova è una grande opera. Non cresce, non esiste, non è concepibile una città coi monti a pugnalare il mare, senza grandi opere. I grattacieli duecenteschi di Camogli furono grandi opere. Non è Vigevano, Camogli, e non è Rimini.
Gli svincoli autostradali, provate a uscire a Nervi, sono sospesi in cielo più di ponte Morandi. La Lanterna fu una grande opera, lo furono le gallerie tra Corvetto e il Portello e quella della Zecca, le case che precipitano giù da Oregina, la vecchia diga foranea, la sopraelevata concepita a forza per aria, l’ascensore per salire a Castelletto, che sembra oggi poca cosa e non lo fu.
Furono grandi opere i Cantieri navali che vararono le navi più grandi, la Michelangelo o l’Andrea D’Oria, lo furono i palazzi appoggiati come miracoli sulle gallerie, col portone d’ingresso al sesto piano, i buchi scavati tra quartiere e quartiere, senza i quali non esistono strade, ma lo fu perfino quella gigantesca disgrazia di Stato chiamata Oscar Sinigaglia. Tacessero, i cretini, di fronte ai lutti della mia città, agli errori gravi, o financo alle eventuali furbizie dei Benetton. Senza grandi opere, Genova non c’è. Imparino che esisteva un motivo serio per chiamarla Superba. Che perfino un’operetta di terza, è di Grillo che parlo (nemmeno nato lì, tra l’altro, solo vicino), sta diventando essa stessa una grande tragedia.
Andrea Marcenaro
Cretini
Il Foglio
Niente Gronda, niente variante, basta grandi opere. Già. Ma tacessero, per una volta, sulla mia città ferita, i cretini alla Travaglio. Il cuore stesso di Genova è una grande opera. Non cresce, non esiste, non è concepibile una città coi monti a pugnalare il mare, senza grandi opere. I grattacieli duecenteschi di Camogli furono grandi opere. Non è Vigevano, Camogli, e non è Rimini.
Gli svincoli autostradali, provate a uscire a Nervi, sono sospesi in cielo più di ponte Morandi. La Lanterna fu una grande opera, lo furono le gallerie tra Corvetto e il Portello e quella della Zecca, le case che precipitano giù da Oregina, la vecchia diga foranea, la sopraelevata concepita a forza per aria, l’ascensore per salire a Castelletto, che sembra oggi poca cosa e non lo fu.
Furono grandi opere i Cantieri navali che vararono le navi più grandi, la Michelangelo o l’Andrea D’Oria, lo furono i palazzi appoggiati come miracoli sulle gallerie, col portone d’ingresso al sesto piano, i buchi scavati tra quartiere e quartiere, senza i quali non esistono strade, ma lo fu perfino quella gigantesca disgrazia di Stato chiamata Oscar Sinigaglia. Tacessero, i cretini, di fronte ai lutti della mia città, agli errori gravi, o financo alle eventuali furbizie dei Benetton. Senza grandi opere, Genova non c’è. Imparino che esisteva un motivo serio per chiamarla Superba. Che perfino un’operetta di terza, è di Grillo che parlo (nemmeno nato lì, tra l’altro, solo vicino), sta diventando essa stessa una grande tragedia.
Andrea Marcenaro