il Giornale, 17 agosto 2018
Maglioni e autostrade, tutte le ramificazioni dell’impero Benetton
Dalla fabbrichetta di maglioni, aperta agli inizi degli anni Sessanta a Ponzano Veneto, a una multinazionale con sedi in Italia e all’estero che opera in ogni settore, con un fatturato che supera i 12 miliardi di euro. Ecco, in sintesi, l’impero della famiglia Benetton. Il loro nome in questi giorni è tornato alla ribalta con il crollo del ponte Morandi a Genova perché la cassaforte dei fratelli trevigiani, Edizione Holding, ha il controllo di Autostrade per l’Italia tramite la società Atlantia.
Non è certo un momento facile per i Benetton, che oltre a essere messi sotto accusa dal governo, il quale ha annunciato la revoca della concessione, sono anche stati riempiti di insulti sui social network per la tragedia. Ma il gruppo veneto saprà uscirne anche stavolta, nonostante le polemiche adombrate sull’acquisizione. Nel 1999, infatti, quando il governo D’Alema ha privatizzato le autostrade, i Benetton erano in prima linea. Si trattava di un grande affare da affiancare a quello di Autogrill, acquistata sempre dall’Iri tre anni prima. Le privatizzazioni sono una manna e D’Alema non si risparmia, benedicendo anche quella di Telecom che viene acquisita dall’Olivetti di Roberto Colaninno per poi passare, nel 2001, a Olimpia, partecipata oltre che da Pirelli, Unicredit e Intesa anche da Edizione Holding di Benetton. La famiglia sa dove mettere i piedi quando si confronta con la politica. Quasi sempre con successo. Nel 2008, però, i Benetton fanno parte dei «capitani coraggiosi» che s’impantanano nel salvataggio di Alitalia, bruciando quasi 150 milioni di euro nel pozzo senza fondo della compagnia di bandiera.
Sono passati più di 50 anni da quando i quattro fratelli Luciano, Gilberto, Giuliana e Carlo (morto il mese scorso) hanno iniziato a produrre i loro colorati maglioni, destinati a diventare simbolo dell’azienda. Un’impresa partita con consegne «porta a porta», con Luciano che caricava i maglioni in automobile e da Treviso a Cortina li andava a piazzare nei negozi. Contribuendo così a far girare in fretta il nome Benetton. Già nel 1969 viene inaugurato il primo negozio all’estero, a Parigi, mentre nel 1974 viene acquisito il marchio Sisley, che insieme ai marchi United Colors of Benetton, Undercolors of Benetton costituisce il nucleo dei prodotti di abbigliamento. Alla fine degli anni ’70 l’azienda esporta il 60% della produzione. Nel 1980 un ulteriore espansione, con l’apertura della prima vetrina a New York, in Madison Avenue e due anni dopo a Tokyo. Oggi il marchio è presente in 120 Paesi, con una rete commerciale di circa cinquemila negozi.
Nel corso degli anni gli interessi della famiglia trevigiana si sono ampliati dai jeans e t-shirt alla finanza, all’immobiliare, fino alle grandi infrastrutture. Una rete di partecipazioni immensa, gestita come dicevamo da Edizione, la cassaforte dell’impero. Attraverso Edizione la famiglia Benetton possiede, oltre al 100% di Benetton Group, numerose e consistenti partecipazioni che spaziano dalla ristorazione (Autogrill), alle infrastrutture (Eurostazioni) e ai trasporti (Atlantia, società a cui fanno capo Autostrade per l’Italia e Aeroporti di Roma), fino ad assicurazioni e banche (Generali, Mediobanca, Banca Leonardo), oltre a una quota in Pirelli. Ma non basta. A questi si aggiungono gli investimenti nel settore agricolo e in quello immobiliare. La famiglia detiene il 100% dell’azienda agricola Maccarese (Roma) e di Compania de Tierras Sudargentinas, in Patagonia. Edizione Property è invece la holding nel settore del mattone, con un patrimonio immobiliare che vale intorno a 1,4 miliardi di euro.
Atlantia, che gestisce 3mila km autostradali italiani (quasi la metà del totale) è una macchina che fa soldi. Solo con Autostrade per l’Italia ha avuto 3,9 miliardi di ricavi nel 2017.