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 2018  agosto 17 Venerdì calendario

Revoca, controlli e multe: cosa dice la concessione ad Autostrade

Nate pubbliche e diventate private dopo che lo Stato, alla fine degli anni Novanta, alzò bandiera bianca per via dei costi eccessivi da sostenere. Regolate da norme e contratti che disciplinano non solo l’aspetto per così dire più immediato del loro ruolo ma anche le modalità di accertamento di eventuali colpe gravi o meno gravi, con eventuali sanzioni fino a 150 milioni e alla evoca del rapporto. Per le società concessionarie delle autostrade italiane le regole, come i diritti e i doveri, sono chiare da tempo ma la tragedia di Genova e soprattutto la dura reazione del governo gialloverde sembrano aver aperto nuovi dubbi e ipotizzato scenari in gran parte da verificare sul doloroso capitolo delle responsabilità. Può il governo avviare la procedura di revoca nei confronti di Autostrade per l’Italia anche senza elementi di certezza sulle cause del crollo del ponte? E può farlo a prescindere dal lavoro dei magistrati della Procura di Genova? E ancora: quanto pagherebbero i contribuenti italiani qualora la penale, legata alla rescissione del contratto diventasse operativa? Proviamo a districarci in quello che già si sta configurando come uno scontro tecnico-amministrativo-legale dall’esito tutt’altro che scontato. Le autostrade italiane comprese quelle gestite da Autostrade per l’Italia, la concessionaria più importante, sono un bene di proprietà dello Stato la cui gestione è stata in gran parte affidata a società che ne raccolgono i profitti pagando, appunto, un canone alle casse pubbliche. Fino a non molti anni fa queste società erano a loro volta pubbliche: di proprietà degli enti locali oppure dell’Iri.
In linea generale la società concessionaria deve attenersi agli obblighi contratti nei confronti dello Stato. Manutenzione e investimenti in cambio dei pedaggi, in estrema sintesi. Investimenti che nel caso di Atlantia, la società del Gruppo Benetton che controlla Autostrade per l’Italia, sono ammontati nel primo semestre 2017 a 232 milioni rispetto ai 197 milioni del primo semestre di quest’anno (ma la società ha già reso noto di avere speso circa un miliardo all’anno tra il 2012 e il 2017 in opere di sicurezza, manutenzione e potenziamento della rete ad essa affidata). La Convenzione unica che regola il rapporto tra ministero e Autostrade, valida fino al 2038 e da pochi mesi prorogata al 2042 con il beneplacito dell’Ue proprio per consentire la realizzazione dell’asse alternativo al ponte crollato. Cosa prevedono le sanzioni a carico dei concessionari? Il sistema sanzionatorio, modificato dalla legge del 2006, prevede multe che vanno dai 25 mila ai 150 milioni di euro per inadempienze classificate in base alla loro gravità: possono riguardare le modalità e i tempi di esecuzione delle progettazioni, i tempi e le modalità di esecuzione dei lavori, fino ad «un grave e perdurante inadempimento da parte della concessionaria», presupposto in base al quale come lo stesso sito di Autostrade per l’Italia riporta – è prevista la revoca della concessione. 
L’articolo 7 inserisce tra quest’ultimo tipo di causali anche i mancati controlli ma secondo un’interpretazione del testo, questa fattispecie non riguarderebbe sciagure già avvenute ma informazioni carenti o non veritiere su opere in corso. La norma, non a caso, indica una successione di moniti e di sanzioni (fino appunto ai 150 milioni) e introduce la possibilità della revoca «solo in caso di reiterazione». 
Lo stesso comma dice altresì che «tutto questo è vero salvo che il caso costituisca reato»: il che porterebbe a concludere che il governo prima di procedere alla revoca della concessione dovrebbe attendere le sentenze della magistratura su colpevoli e responsabilità penali. Un lavoro appena iniziato. Autostrade per l’Italia, non a caso, ha già ribadito più volte di avere rispettato la Convenzione: dunque, dimostrare il contrario sarà il primo compito del governo. Per farlo, però, bisognerà seguire un apposito iter nel quale è previsto espressamente un contraddittorio tra il ministero dei Trasporti e la società. È in base a questo passaggio, fanno osservare tecnici e giuristi, che si può valutare l’eventuale inadempimento. 

IL SECONDO SCENARIO
Altro discorso è quello di una possibile decadenza della concessione. Ne parla l’articolo 9 della Convenzione, al comma 2: «Constatato il perdurare dell’inadempimento, il Conducente (lo Stato e dunque il ministero, ndr) subentra in tutti i rapporti attivi e passivi di cui è titolare il Concessionario». La differenza non è di poco conto. Con la decadenza, infatti, lo Stato dovrebbe risarcire il Concessionario con «il pagamento di un importo corrispondente al valore attuale netto dei ricavi della gestione prevedibile dalla data del provvedimento di decadenza fino alla scadenza della concessione, al netto dei relativi sti, oneri, investimenti e imposte prevedibili nello stesso periodo». L’importo, spiega ancora la Convenzione, viene decurtato a titolo di penale, di una somma pari al 10% dello stesso, salvo il maggior danno subito dal concedente. In soldoni, non pochi miliardi (15-20, si dice) ma il calcolo al momento è a dir poco complicato.