La Stampa, 17 agosto 2018
Il “gelso della Regina”, rustico e combattivo, è nero come le more
Nel cortile di una vecchia casa di Revello, murato come un chiostro, e perciò protetto dai venti più freddi, crescono alcuni fichi, qualche vite ad ombreggiare le finestre e un gelso giovane, ma pieno di promesse. Sarà forse per via dell’antichissima storia del posto, che era dogana per il sale arrivato dalla Provenza e incanalato nel celebre Buco di Viso, ma l’aria che si respira ha un che di medioevale anche nella scelta delle piante.
Nulla di esplicito e tantomeno di didattico: per quanto utili le ricostruzioni lasciano sempre un po’ il tempo che trovano, e l’intento dimostrativo si coniuga spesso ad un’eccessiva furia classificatrice e ad un fin troppo rileccato e compiaciuto rigore filologico. A tutto scapito della bellezza d’insieme e della sostenibilità del giardino. Nel cortile di Revello nulla di tutto questo è stato anche solo pensato: nessuna lezione da impartire, solo alcuni tocchi leggeri e appena accennati, dal sapore vagamente evocativo.
E così, come è giusto che sia, il gelso in questione è un Morus nigra, l’unico conosciuto in Italia fino alla metà del mille e quattrocento, quando fece la sua trionfante comparsa il gelso bianco (Morus alba) decretando, con le foglie ben più appetibili, la fortuna dei nostri setifici. Non che prima la seta fosse soltanto importata: i finissimi drappi del tiraz di Palermo, intrecciati con fili d’oro, erano invidiati in tutta Europa già quasi un millennio fa. Furono infatti i normanni, pare, a portare per primi i bachi da seta da Costantinopoli e a nutrirli, come anche là era uso fare, con le foglie lucide e dentate del gelso nero.
In mancanza di meglio i bachi si accontentarono... Si crede infatti che la pianta sia originaria proprio dell’Asia Minore (è sempre difficile sapere con esattezza: evidentemente le vie dell’Oriente, vicino e lontano, sono davvero infinite) e che i greci ne fossero assidui coltivatori. Non per nulla alcuni ritengono che l’antichissimo nome di Morea, con cui veniva indicato il Peloponneso ai tempi delle crociate, derivi proprio dall’abbondanza di gelsi, detti in latino morus forse per via del ritardo (mora) con cui si risvegliano in primavera. In Ovidio il colore sanguigno dei frutti si lega alla tragica storia d’amore osteggiato tra Piramo e Tisbe e l’albero compare già chiaramente raffigurato in quel di Pompei.
Plinio descriveva le more così: Tingono le mani col succo, le puliscono se acerbe (onde per cui la sua attuale epurazione dai giardini, a tutto favore di recenti varietà di gelso sterile) e più tardi, nel Capitulare de villis, Carlo Magno ne prescriveva la coltivazione.
Tornando al gelso di Revello, è stato piantato a ridosso del muro della casa non molti anni fa ed è già folto di bellissime foglie coriacee e chiare nella pagina inferiore. Evidentemente il tentativo è quello di allevarlo a spalliera, senza però eccessive costrizioni e potature: un calmierato laissez-faire pare in effetti la via migliore. È una varietà antichissima, autofertile e molto generosa in piena estate di frutti grandi, succosi, dolci ma al contempo piacevolmente asprigni. È chiamata gelso della Regina, anche se non si sa bene in onore di chi: propendo per una delle due Giovanne d’Angiò, probabilmente la prima, carismatica sovrana di Napoli, la stessa che si narra trovò riparo insieme al suo seguito sotto le immense fronde del Castagno dei Cento Cavalli, che ancora cresce a Sant’Alfio, sulle pendici dell’Etna. Ed è infatti nel nostro meridione che il gelso nero fu soprattutto coltivato e ancora oggi se ne incontrano di tanto in tanto esemplari centenari, dalle grandi e fitte chiome che ricadono fino a terra.
Che i bachi risaputamente preferissero i fogliami del gelso bianco li ha salvati per fortuna da tagli troppo drastici, quelli che un tempo venivano detti accornettature e che anno dopo anno riducevano i gelsi da seta a miseri monconi. Rispetto al Morus alba preferisce climi un po’ più miti ed è per questo che da noi non vanta una ricca tradizione. Ma in posizioni riparate ed assolate può cavarsela egregiamente anche al nord: il rustico e combattivo gelso della Regina piantato qui a Revello lo dimostra. Chi volesse imitare non ha che da cercarlo nel sempre ricco ed elegantemente allettante catalogo Ingegnoli.