La Stampa, 17 agosto 2018
«Uccidete i migranti italiani». 17 agosto 1893, la strage di Aigues-Mortes Linciati dalla folla gli operai cuneesi delle saline
Fu ad Aigues-Mortes – splendido centro per le memorie medievali di San Luigi, il re che fece della città fortificata alle porte della Camargue il porto di partenza per le Crociate – che i lavoratori italiani trovarono il loro inferno in terra di Francia. Successe il 17 agosto 1893 e fu un massacro che il tempo ha trasformato in una storia simbolica, visto che questo capitolo tragico dell’emigrazione italiana all’estero fu innescato da una falsa notizia, un concerto di menzogne che oggi chiameremmo fake news.
Accadde che dieci italiani furono ammazzati dalla folla inferocita, dopo decenni in cui si era costruito uno stereotipo negativo dell’emigrato del Bel Paese, presentato come briseurs de salaires, un ladro di lavoro. Gli operaio francesi non avevano dubbi: l’immigrazione straniera era una delle cause della crisi economica che viveva la Terza Repubblica, nata dalle ceneri di Sedan e della Comune.
Capitò nel 1893, mentre la Francia era il teatro di una feroce campagna elettorale. In agosto lo scrittore nazionalista Maurice Barrès, su Le Figaro, aveva parlato di «invasione». Lo fece per difendere il «carattere speciale» dell’identità francese occorreva contrastare l’invasione valorizzando i concetti di famiglia, nazione e razza. Sosteneva che le «hordes barbares» minacciavano il lavoro e rappresentavano un pericolo sociale, morale e politico. Il disprezzo e la paura si diffusero rapidamente, contaminando anche il vocabolario: a Nizza, il termine «Piémontais» era un insulto. Le orde barbariche eravamo noi: gli italiani, identificati come un popolo abituato a cantare e mendicare.
Nei secoli Aigues-Mortes era diventata la terra di produzione dell’oro bianco: il sale. Il lavoro nelle saline era durissimo e vi erano impiegati soprattutto operai emigrati dall’Italia, in particolare dal Piemonte.
Prima del massacro di Aigues-Mortes ci furono diversi casi di razzismo nei confronti degli italiani. Nelle osterie del Sud della Francia, dove sorgevano i cantieri, la parola d’ordine era di cacciare via i pimos, come con disprezzo erano chiamati i piemontesi, perché lavoravano «per una paga eccessivamente bassa».
L’altro termine coniato dai francesi, prima dell’odioso rital per indicare con sprezzo il bisognoso lavoratore italiano, fu christos, non per la fede, ma per la facile abitudine alla bestemmia; non a caso, nella lingua piemontese, è utilizzato il verbo «cristonare» quale sinonimo di bestemmiare. Anche una volta naturalizzati, gli immigrati italiani potevano ironicamente essere qualificati come français de Coni (francesi di Cuneo). Ad Aigues-Mortes fu utilizzato il termine ours (orso) per designare l’italiano, un termine che oltre al razzismo esprimeva anche le paure che la bestia evoca nell’immaginario collettivo.
Nella città di San Luigi, i piemontesi lavoravano più degli altri saliniers. Il mattino del 16 agosto un giovane di Vernante, Giovanni Giordano, litigò con i francesi, minacciandoli con un forcone. Si formarono delle bande pronte allo scontro, ma non accadde nulla. A questo punto, però, tutto era pronto per il peggio, per la strage di Aigues-Mortes. Si cominciò da un banale incidente (il litigio) e si degenerò nel massacro degli italiani alimentato da una fake news, che in quell’ambiente di esasperato nazionalismo, come una pianta velenosa trovò il terreno adatto per crescere e prosperare.
La falsa notizia fu messa in circolazione da alcuni operai francesi che, mentre rientravano a Aigues-Mortes, a dieci chilometri dalle saline, raccontarono d’inaudite violenze degli italiani, di gente pugnalata e ferita mortalmente. Bastarono poche parole ad incendiare l’odio xenofobo. La folla, che nella notte aveva assediato gli italiani rifugiati in alcune case, si riunì con randelli, pale, fucili e pistole. Il prefetto e il sindaco di Aigues-Mortes ottennero l’espulsione e il licenziamento degli italiani da parte della compagnia delle saline. Dodici gendarmi a cavallo con il capitano Cobley prelevarono dalle saline un’ottantina di operai italiani, con la promessa di scortarli alla stazione del paese e così avviarli in treno per l’Italia, via Marsiglia. Gli operai italiani furono circondati, non protetti contro il lancio di pietre. Caddero i primi morti. Solo trentotto, ormai disperati, arrivarono sotto le mura di Aigues-Mortes, dove la popolazione schiumava rabbia. Esplose una follia collettiva e iniziò il massacro degli italiani. I feriti, anziché essere curati, furono abbandonati a morte certa.
Al momento del massacro di Aigues-Mortes si parlò di centinaia di vittime. Lo storico Enzo Barnabà con sicurezza afferma che furono una decina, più quattordici dispersi, quasi sicuramente ammazzati. Indubbiamente furono di più i dispersi. Chi erano? Chi scrive sta indagando sui «dimenticati» del 1893, ricercando i loro nomi sulla stampa locale dei giornali delle province di Cuneo, Asti e Alessandria. I giornali locali erano attenti a segnalare i «dispersi» del massacro, degli operai che non tornarono più a casa, ricercati dalle loro famiglie. I saliniers arrivavano soprattutto dalla provincia di Cuneo, dove all’impoverimento economico si associava il dato della prossimità territoriale: buona parte degli uomini validi emigrava dalla primavera all’autunno, lasciando al resto della famiglia la cura della conduzione della terra. La stessa cosa accadeva nel Monferrato, dove il mercato del vino era crollato per il problema della fillossera.
Centoventicinque anni dopo, la città di Aigues-Mortes ricorda oggi l’atroce massacro dei saliniers italiani. Un piccolo passo per rievocare l’episodio del 1893, fino ad ora cancellato dalla memoria, così come dalle numerose guide dedicate alla città del Re Santo. Sulla facciata del Municipio, verrà aggiunta una lapide che recita: «In memoria dei 10 operai italiani vittime della xenofobia durante gli eventi del 17 agosto 1893. In omaggio ai giusti: Jacques Eugène Mauger (abate), Adélaide Fontaine (panettiera), madame Goulay. E ai cittadini di Aigues Mortes che diedero prova di coraggio e d’umanità». I morti, e chi cercò di difenderli dalle belve. Inutilmente.