la Repubblica, 17 agosto 2018
I mea culpa della Troika. «Sulla Grecia troppi errori»
Il paziente è salvo, malgrado i dottori – per loro stessa ammissione – abbiano sbagliato la cura. Il D-Day è fissato per il 20 agosto. Lunedì prossimo la Grecia uscirà dal Commissariamento della Troika dopo otto anni di terapie lacrime e sangue imposte dai creditori. Atene e Bruxelles festeggeranno, giustamente, la fine di un incubo. La medicina a base di austerity rifilata al” malato 0” d’Europa però – parola di Fmi, Ue e Bce – è stata però troppo pesante. E senza gli errori fatti negli ultimi anni – come dicono i tanti “pentiti” della crisi ellenica – il paese avrebbe potuto guarire prima, pagando magari un prezzo meno salato del 25% di Pil bruciato dal 2010 e del raddoppio al 21% delle persone che vivono in condizioni di estrema povertà.
«Nessuno in questa partita è stato un angelo» ha riconosciuto Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo. Atene, come ovvio, ha colpe enormi. Ha vissuto a lungo sopra i propri mezzi, corruzione e clientelismo hanno gonfiato il debito, i governi fino al 2009 hanno truccato i conti e dopo l’inizio della crisi hanno più volte tentato di dribblare gli impegni con i creditori.
Ue, Bce e Fmi ci hanno però messo del loro per complicare le cose. Il primo mea culpa – quello che spiega quando e perché si è iniziato a sbagliare – l’ha fatto il Fondo Monetario nel 2013. «L’intera operazione – è scritto in un documento riservato – è stata fatta per prendere tempo e consentire all’area euro di costruire le difese necessarie per salvare gli altri paesi che rischiavano di essere travolti dall’effetto contagio».
A inizio 2010 lo spread era già ballerino in Italia, Spagna e Portogallo e le banche francesi e tedesche erano imbottite di titoli di stato ellenici per 90 miliardi che rischiavano di diventare carta straccia. Cosa sarebbe stato giusto fare allora? «Ristrutturare subito il debito di Atene», ammette il Fondo. Cosa che avrebbe reso il salvataggio più breve e meno doloroso. Unico problema: questa strada sarebbe costata un patrimonio agli istituti di credito di Parigi e Berlino. E i due soci” forti” dell’Unione europea hanno convinto l’Europa a prendere tempo avviando l’era dell’austerity.
Il secondo sbaglio – Fmi dixit – è stato tecnico: «Si è fatto un grave errore nel calcolare i moltiplicatori – ha ammesso nel 2016 Christine Lagarde, numero uno del Fondo –. Noi e la Ue abbiamo sottostimato l’effetto recessivo di alcune delle misure imposte al paese». Tradotto in soldoni: il “paziente” è stato costretto a prendere una medicina durissima che ne ha aggravato le condizioni di salute. Aumentando anche il costo per i creditori, costretti nel 2012 a ristrutturare il debito privato ellenico ( quando le banche francesi e tedesche non avevano più in tasca un titolo…) e a garantire 273 miliardi di prestiti per il salvataggio. Soldi tornati quasi tutti subito al mittente: nelle casse della Grecia ne sono rimasti – secondo le stime – solo una quarantina mentre il resto è stato usato per pagare interessi e rate a Ue, Bce e Fmi. «Il programma è stato troppo duro – ha riconosciuto Vitor Constancio, fino a pochi mesi fa braccio destro di Mario Draghi alla Banca centrale europea –. Non avevamo tenuto in conto il crollo della speranza e delle aspettative».
Crollo non è un termine esagerato: solo quattro paesi – Libia, Venezuela, Yemen e Guinea equatoriale – sono cresciuti meno ( o per meglio dire decresciuti di più) di Atene dal 2010. Persino l’Ucraina, malgrado la guerra, ha fatto meglio. Un mea culpa a denti stretti l’ha fatto persino un “falco"come Jeroen Dijsselbloem, ex presidente dell’Eurogruppo: alla Grecia – ha detto – abbiamo imposto” misure estreme”. Una lezione che forse non è ancora stata imparata: il post- salvataggio che inizia da lunedì obbliga il paese a rispettare paletti altissimi come un avanzo primario del 3,5% fino al 2022 e del 2,2% fino al 2060. E il debito, causa resistenze tedesche, non è stato tagliato. Con il rischio ("la certezza” dice l’Fmi) di vederlo esplodere nel 2032 quando Atene dovrà riprendere a pagare gli interessi oggi congelati. «Abbiamo fatto errori, calpestato la dignità dei greci – ha detto il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker —. Ora non dobbiamo fare lo stesso con l’Italia».