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 2018  agosto 17 Venerdì calendario

Il Dragone non soffia sulla fiamma olimpica

Da quassù, tra le trame d’acciaio del Nido d’uccello, si vede tutto. I palazzi di Pechino a perdita d’occhio. La distesa del villaggio olimpico, rimasto dieci anni dopo uno dei pochi polmoni verdi. Oltre la piazza piena di turisti ecco la piscina dove Michael Phelps è diventato leggenda, otto medaglie d’oro. E qui sotto la pista dove Usain Bolt ha corso veloce come mai uomo. Oggi è coperta a metà da un gigantesco palco che gli operai stanno finendo di montare. Lo show sarà pirotecnico, ma non ha nulla a che vedere con l’anniversario dei Giochi, inaugurati l’8/8/2008 in omaggio al numero fausto della cultura cinese. «C’è il concerto di Zhang Jie», idolo pop locale, spiega con gli occhi della fan innamorata la ragazza della biglietteria. «Per le Olimpiadi non è previsto nulla». Già il secondo indizio: mercoledì 8 il Quotidiano del popolo, il giornale che scrive ciò che va scritto, neppure le menzionava in prima pagina. Come se l’evento che ha consacrato la Cina superpotenza, allo specchio e agli occhi del mondo, fosse un ricordo scomodo, da non esaltare. Strano, a vedere le centinaia di persone che armate di ombrelli sfidano un sole impietoso per visitare il parco olimpico, gloria nazionale. «Vederlo è un privilegio», dice Zhen, 18 anni e una bandierina con cui prova a imporre direzione a una comitiva di bambini in gita.
Vengono dalla provincia dell’Anhui e quando incrociano uno straniero chiedono un selfie. «Thank you», azzarda un bimbo paffuto; viene in mente la campagna di educazione collettiva con cui le autorità prepararono le Olimpiadi: nelle scuole si insegnava a dare il benvenuto in inglese ai turisti e recitare lo slogan dei Giochi, Un mondo, un sogno. La Cina voleva mostrare il profilo migliore, a costo di bloccare le fabbriche per ripulire il cielo dal fumo o radere al suolo interi vicoli storici in nome della “bellificazione”, spedendo gli abitanti chissà dove.Fu un successo, un Paese comunista e in via di sviluppo riuscì a gestire un appuntamento globale. Ma un successo della vecchia leadership, forse è questo che suggerisce contegno alla propaganda di Xi Jinping. O magari il fatto che in quel fatidico 2008, al traino dell’Olimpiade, tante altre voci si sono alzate. Le sollevazioni in Tibet, le proteste per i bambini morti sotto le scuole di cartongesso sbriciolate dal terremoto del Sichuan, le richieste del manifesto democratico Carta 08. Ad alcuni pareva l’inizio di una primavera, avevano ragione i cinici. Da lì a poco la grande muraglia digitale sarebbe diventata invalicabile, oscurando Google e Facebook.
Gli intellettuali ribelli, a cominciare da Liu Xiaobo, chiusi in carcere. Il Tibet trasformato in un esperimento di sorveglianza armata. Basta guardare il Nido d’uccello: Ai Weiwei, l’artista che lo ha disegnato, è fuggito in Germania, pochi giorni fa qui a Pechino hanno demolito il suo atelier. Una famiglia, tre generazioni, si mette in posa per la foto ricordo. Sulla maglietta della madre c’è scritto “Democrazy”, soltanto un gioco di parole.
Dieci anni dopo, anche per il trionfo di quei Giochi, il rapporto tra la Cina e il mondo è cambiato. Il suo sogno, la scalata al benessere, il Dragone continua a realizzarlo: è in vetrina al Water Cube, il complesso delle piscine olimpiche diventato parco divertimenti. Dentro una vasca con onde artificiali sguazzano figli e genitori, ammirando tre ballerine che sculettano sulle note di Christina Aguilera. «In quelle settimane sapevamo che si era aperta una finestra», racconta Li Wei, giornalista 31enne laureato in Italiano. Era un volontario, interprete per la nazionale Under 21 di Gigi Casiraghi. «Gli anziani per strada salutavano in inglese, tutti gli abitanti di Pechino erano coinvolti, c’era un grande orgoglio». L’orgoglio c’è ancora, sempre più forte, ma con il “grande ringiovanimento” promosso da Xi ha preso una sfumatura nazionalistica. Sopra la piscina che Phelps colorò a stelle e strisce hanno appeso una luna, pezzo forte della mostra sul programma spaziale del presidente. Ecco i nuovi sogni della Cina: portare lassù i cosmonauti, ridisegnare a suon di infrastrutture la Via della seta, dominare le tecnologie di frontiera. Troppo, sussurra qualche intellettuale: gli Stati Uniti si sono sentiti sfidati e hanno reagito con una tempesta di dazi. Deng Xiaoping raccomandava «profilo basso»: non celebrare le Olimpiadi potrebbe essere il segno di un ritorno a una retorica più misurata.
Così oggi, in una città che si prepara a riaccendere la fiaccola, lo spirito dei cinque cerchi si sente meno. Qualche banchetto ha iniziato a vendere i gadget di Pechino 2022, un paio di piste di curling provano a familiarizzare i passanti con questa stramba disciplina. Nei prossimi tre anni verrà fatto di tutto per trasmettere ai cinesi la passione per la neve, ma l’evento non avrà lo stesso valore simbolico del 2008, e non solo perché d’inverno sono Olimpiadi minori. Il villaggio avrà sede nella vecchia acciaieria di Shougang, all’estremo Ovest della capitale, chiusa per combattere l’inquinamento. Gran parte delle strutture verrà preservata in un inedito, da queste parti, progetto di recupero industriale. Ma così lontano dal suo cuore, la città rischia di non accorgersene. Se sono conferme quelle che i Giochi regalano, la Cina non ne ha più bisogno.
Fuori un esercito di giardinieri tiene pulite le aiuole. Dietro alla fiaccola c’è un muro su cui sono scolpiti tutti i nomi dei medagliati: un frullatore ricordi, di gioie ( Pellegrini e Schwazer, prima del baratro) e delusioni ( il nostro Dream Team del fioretto femminile soltanto bronzo). China, China, China: il Dragone doveva vincere cento medaglie e cento ne ha vinte, superando per la prima volta gli Stati Uniti, presagio di future sfide. In fondo all’elenco, le parole della cerimonia di chiusura: «La fiaccola si spegne, ma la voglia della Cina di abbracciare il mondo arderà per sempre». Un mondo, un sogno. Dieci anni dopo è più difficile da ripetere.