la Repubblica, 15 agosto 2018
Videogiochi, «così il nostro software vi farà giocare con l’arte e la storia»
BRISTOL (GRAN BRETAGNA) Per arrivare a Gas Ferry Road bisogna attraversare il fiume Avon che taglia a metà Bristol e ne circonda un pezzo in un’isola stretta. Poche case, qualche vecchio capannone navale e gli studi delle Animazioni Aardman. Un palazzo di ferro, vetro e legno con davanti la statua del pinguino furfante del cortometraggio I pantaloni sbagliati, Oscar nel 1993, dove i bambini corrono a farsi una foto. All’interno, maestri dell’analogico che ora azzardano sul digitale: dal passo uno, tecnica dove si animano pupazzi un fotogramma alla volta, alla creazione di un videogame che mescola cartoon, algoritmi e impressionismo e che ci è stato mostrato in anteprima. In 11- 11: Memories Retold non si spara un sol colpo anche se racconta la Prima guerra mondiale. È fatto di immagini che un software elabora in tempo reale facendole diventare quadri impressionisti in movimento. Terra di mezzo fra sperimentazioni tecniche e narrative, opera complessa da mettere a punto che ha richiesto una difficile fase di programmazione: ogni volta che il giocatore orienta la visuale, il programma scompone quel che vede e lo ricompone come se usasse il pennello al posto dei pixel.
«Perché ci siamo lanciati in un’impresa del genere? Lo so, sembra una follia», ammette ridendo Peter Lord. Classe 1953, lo incontriamo sul ballatoio del terzo piano che affaccia sulla corte centrale del palazzo, fra passerelle di legno e pecore in cartapesta giganti. Ha fondato quasi mezzo secolo fa, assieme all’amico David Sproxton, gli studi Aardman: Galline in fuga, Wallace & Gromit – La maledizione del coniglio mannaro che ha vinto un Oscar nel 2006,Shaun – Vita da pecora.
E ancora, spot pubblicitari, mostre, app per bambini, film a 360 gradi come Special Delivery realizzato per Google. «Ci piace sperimentare» prosegue Lord. «Di questi tempi per sopravvivere bisogna essere agili. Solo così puoi intuire i cambiamenti, sperando che tu lo faccia prima che avvengano, e capire quando rischiare». E di rischi la Aardman ne sta correndo parecchi con 11- 11: Memories Retold.
Prodotto dalla giapponese Namcobandai, concepito con la francese DigixArt, uscirà il 9 novembre, un venerdì. La domenica, alle undici di mattina, ricorrerà in centesimo anniversario dell’armistizio di Compiègne che segnò la fine della Grande Guerra. Il gioco mette in scena due storie: quella di un padre che dalla Germania rischia la vita per recarsi al fronte in cerca del figlio disperso, e quella di un fotografo canadese che parte per le trincee europee per dimostrare di valer qualcosa, scoprendo troppo tardi cosa sia davvero la guerra. I loro punti di vista finiranno per intrecciarsi.
Alla Aardman hanno insegnato al motore grafico, il software che gestisce le immagini, a trasformare le sequenze in quadri impressionisti in movimento usando come riferimento le analisi di tutte le opere di Claude Monet e Pierre-Auguste Renoir. «Avremmo potuto usare il nostro stile del passo uno, sarebbe stato molto più riconoscibile», spiega Dan Efergan, direttore creativo della Aardman, mentre ci mostra come le immagini digitali vengono trasformate dal loro algoritmo. «Ma quello stile è la nostra fortuna e la nostra condanna. Serviva qualcosa di completamente differente. E il risultato potrebbe essere un capolavoro come un disastro». Efergan e compagni hanno penato non poco. L’impressionismo diventa una materia visiva difficile quando si tratta di render chiari gli elementi sullo sfondo di una scena. «Ci sono stati giorni nei quali abbiamo pensato che non ce l’avremmo fatta: aggiustavamo una cosa e un’altra creava nuovi problemi».
Giocare ai primi due capitoli di 11- 11 significa fare un salto indietro di un secolo. Stavolta attraverso l’arte e non più il solito effetto seppia che mima vecchie foto o immagini in alta definizione tipiche dei videogame come quelle di Battlefiled 1, ambientato anche lui durante la Grande Guerra.
11- 11 è quasi un film interattivo di circa quattro ore, un flusso di colori digitali che hanno tutto della pennellata analogica e che riescono a descrivere piuttosto bene atmosfere e umori dei personaggi. Ma il pubblico dei videogame da console, di media maschio e fra i 20 e i 30 anni, è abituato a cliché e canoni ripetitivi. E questo videogame non ne rispetta nemmeno uno.«Esatto», sottolinea sorridendo Yoan Fanise, direttore creativo di DigixArt, che ha avuto l’idea di 11- 11. «Qui in gioco c’è altro. Le lettere di mio bisnonno mandate dal fronte, quelle che ho usato per il mio primo videogame Valiant Hearts, sono identiche a quelle dei soldati che combattevano dall’altra parte che mi ha fatto leggere lo storico tedesco Robin Schafer. È questo che vogliamo raccontare. Non si spara, si tenta casomai di non restar uccisi. E si scattano fotografie o si scrivono missive scegliendo le parole per non far preoccupare i famigliari».
Il settore dei videogame per console, 46 miliardi di dollari l’anno secondo Ihs Markit che diventano oltre 100 se aggiungiamo il mondo degli smartphone, è impermeabile alle influenze esterne e, a causa dei costi necessari a produrre titoli di grande richiamo, ha dimenticato cosa siano le sperimentazioni. Pochi i registi di fama che hanno provato ad entrare, da Steven Spielberg a John Woo, con risultati comunque mediocri. Pochi anche gli scrittori, e fra quei pochi ci sono Clive Barker, Alex Garland e lo sceneggiatore John Milius, ai quali è andata un po’ meglio. Ma se rispetto ai tanti romanzieri che hanno scritto per il cinema, ai registi diventati i romanzieri o si sono dedicati alla tv o alla musica, quello delle console resta un pianeta remoto anche se popolare. «Mio padre realizzò un documentario sulla Grande Guerra», spiega David Sproxton, l’altro fondatore della Aardman. «È un tema al quale sono legato. Capire come mai è potuta accadere una cose del genere e raccontarlo su console ci è sembrata una cosa giusta da fare. Viviamo in un’epoca fatta di stupide divisioni e sciocchi nazionalismi, mentre gli ultimi testimoni di quel conflitto sono praticamente scomparsi. Intere generazioni a malapena ne hanno sentito parlare. Un bagno di sangue del genere non deve accadere mai più», conclude. Usando impressionismo e algoritmi per ricordare a tutti cosa hasignificato.