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 2018  agosto 15 Mercoledì calendario

Anna Foglietta: «Io, mamma inadeguata»

Recitare? Questione di orecchio. Almeno per chi, come Anna Foglietta, segue un personale filo armonico dove risuonano, senza stecche, Noi e la Giulia, Perfetti sconosciuti, Diva!, La pazza della porta accanto, La mafia uccide solo d’estate, i duetti al Festival di Sanremo, gli interventi al Parlamento Europeo a Bruxelles sull’emergenza minori in Siria. Cinema, teatro, tv, impegno civile. E tre figli piccoli che spesso porta con sé («Ma quest’estate ho detto no a tutto per stare con loro»). Collaborazioni con compagni di strada consolidati (Edoardo Leo, Alessandro Gassman, Paolo Genovese) ma anche autori esordienti come Ciro D’Emilio, il regista di Un giorno all’improvviso, film in gara in Orizzonti a Venezia 75. 
Come l’ha convinta?
«La storia mi ha letteralmente rapita. Il mio personaggio, Miriam, è una madre immatura, una narcisista patologica. Ciro riesce a rappresentare con forza e naturalezza lo spaccato di un rapporto malato. E la cosa che colpisce è come il figlio – Giampiero De Concilio, bravissimo – si prenda cura della madre, mentre lei sembra non rendersi conto del dolore che provoca. Il ragazzo è un talento del calcio, gioca in una giovanile nel salernitano, sogna di fare carriera anche per andare via da un ambiente che non offre opportunità. Ho fatto un grande sforzo per rendere credibile il mio accento».
Romana ma di origini napoletane, non sarà stato difficile.
«E invece sì. Il film ha una grande maturità stilistica. Come attore, perciò, devi restituire la verità del quotidiano. Non c’è niente di peggio che essere l’unica nota stonata. Lo stesso sforzo l’ho fatto in Sicilia per La mafia uccide solo d’estate».
Ha sempre saputo di voler fare l’attrice?
«Non saprei. Ci sono chiamate inconsapevoli. Lo faccio da sempre, tanta gavetta, non stavo ferma a casa a aspettare. Quando iniziavo a considerare a un piano B, mi hanno scritturato per “La squadra”». 
Lei cita spesso le sue radici popolari.
«Amo quello che sono, ma non scordo da dove vengo. È l’unico modo per salvarsi davvero. Le origini ci rendono quello che siamo».
I suoi genitori l’hanno appoggiata?
«I miei hanno sempre lavorato, non si preoccupavano troppo e io mi sono presa ogni spazio di libertà. Quando avevo 27 anni e già guadagnavo come attrice, un giorno mio padre mi disse: “C’è il concorso per valletto alla Camera, perché non lo fai?”. Papà un lavoro ce l’ho già».
Dopo Venezia ha già un’agenda fitta.
«In novembre uscirà Palloncini di Laura Chiossone. Poi sarò in teatro, al Carcano di Milano, con Bella figura di Yasmina Reza, regia di Roberto Andò, con Paolo Calabresi, Anna Ferzetti e Simona Marchini. Un testo su crisi familiare e incomunicabilità. Quindi toccherà a Una guerra di Michele Santeramo».
Di cosa si tratta?
«Parla del percorso avventuroso di una donna che si imbarca dalla Libia. Quando il barcone si ribalta lei si trova a fare una scelta atroce: quale dei suoi due figli salvare. Dopo una presentazione alla Casa delle donne di Roma, il 22 settembre lo porteremo a Matera, e poi in giro per l’Italia per parlare di immigrazione. Sul tema c’è freddezza lo so, il ministro Salvini si è fatto portavoce di un clima di chiusura che come cittadina non mi rappresenta».
Cosa le ha lasciato «La pazza della porta accanto»?
«I due anni passati con Alda Merini mi hanno insegnato che ammettere di avere un problema non è debolezza ma segno di intelligenza. E a godere della forza delle donne, la libertà».