Il Sole 24 Ore, 14 agosto 2010
Il sistema bancario del nuovo Afghanistan
KABUL. Dal nostro inviato
Dott Khalilullah, una carta di credito da usare in Afghanistan? Qui, un paese in guerra dove metà della popolazione è analfabeta, chi ha dei risparmi li tiene spesso sotto il cuscino e gli occidentali possono utilizzarla in un solo albergo in tutto il paese! Khalilullah Fruzi, amministratore delegato di Kabul Bank, la più grande banca privata afghana, non si scompone. «È solo questione di tempo», ribatte. «Il tempo per convincere i proprietari degli esercizi commerciali, dotarli di adeguati supporti informatici e comunicarlo ai clienti. Sono convinto che funzionerà».
Con il suo temperamento esuberante, Fruzi ostenta un ottimismo forse eccessivo, ma da presidente dell’associazione delle banche afghane sa bene che sugli istituti di credito locali da alcuni anni soffia un vento davvero favorevole. «Solo nel 2005 esistevano due banche private, oggi sono già 17. Un bel passo in avanti!». Vestito con un elegante doppiopetto, Fruzi, 46 anni, è un uomo a dir poco volitivo. Come se il suo passato da commerciante di gemme e gli anni trascorsi nella Russia del capitalismo selvaggio degli anni 90 avessero forgiato il suo carattere. Preferisce esibire subito i numeri. «Abbiamo 132 filiali in Afghanistan, in ogni angolo del paese. Quest’anno ne entreranno in funzione altre 32. Abbiamo toccato un milione di clienti. Ma il mio obiettivo è di espanderci nei paesi arabi e perché no? Anche in Europa, in Germania».
Il 2009, anno in cui la guerra ha registrato una sanguinosa escalation e sul paese è arrivata una pioggia di miliardi dollari per la ricostruzione, la Kabul Bank ha registrato un bilancio piuttosto favorevole. «I profitti sono cresciuti del 15% a 12 milioni di dollari, e nel 2010 prevedo un incremento a 24 milioni. In pochi anni i depositi si sono gonfiati da 116 milioni a un miliardo e trecento milioni», continua Fruzi. Profitti irrisori rispetto a quelli di una banca italiana media. Ma siamo in Afghanistan, dove i numeri non sono sempre ufficiali.
Certo i rischi non mancano. L’amministratore delegato si presenta in ritardo all’appuntamento. È appena tornato da Mazar-i-Sharif, la grande città a nord dove una grande sede della Kabul Bank è stata appena assaltata I rapinatori hanno decapitato 12 guardie dopo averle disarmate portando via 270mila dollari. «I costi per la sicurezza sono alti, anzi altissimi, ma bisogna adattarsi e convivere con una situazione del genere». Il gioco vale comunque la candela. I soldi in Afghanistan ci sono – un mare di liquidità da destinare alla ricostruzione del paese – e nel 2009 il Pil afghano ha segnato un incremento del 3,5%, trainato da un inaspettato boom edilizio che sta trasformando alcuni quartieri della capitale Kabul.
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Secondo un’altra inchiesta, condotta dal Washington Post, solo nel 2009 la Kabul Bank avrebbe trasferito centinaia di milioni di dollari a Dubai, dove vive Farnood. E avrebbe erogato ingenti prestiti non dichiarati finalizzati all’acquisto di lussuosi immobili a Dubai. Ville sfarzose. Ne ha una il fratello di Karzai, così come il vicepresidente Fahim e altri potenti dell’oscuro circolo che ruota intorno al presidente afghano. Come se non bastase, alcune di queste ville sono registrate sotto il nome di Farnood. «Tutto falso. Noi non abbiamo mai erogato prestiti diretti per acquistare immobili a Dubai. Sono questioni private e la Banca centrale non ha mai provato queste accuse», taglia corto Fruzi. «Il circolo di Karzai è stato riconoscente con la Kabul Bank. Il ministero della Difesa, quello degli Interni e dell’Istruzione pagano migliaia di soldati, poliziotti e insegnanti attraverso la Kabul Bank. Così l’istituto, la cui efficienza tuttavia non è messa in discussione, si trova a gestire decine di milioni di dollari», ci confida un esperto occidentale.
Vicende poco trasparenti che spesso hanno indotto la comunità internazionale a scegliere le cinque banche straniere (tre pakistane, una indiana e una di Dubai) per le loro operazioni. Ma le banche private del nuovo Afghanistan sembrano comunque funzionare meglio del previsto. Grazie anche a una generazione di giovani professionisti volenterosi. Come Noorkhan Haidari. Il suo nome cominciò a circolare nel settore quando, tre anni fa, a capo del “rescue financial team” della Banca centrale dell’Afghanistan salvò dalla bancarotta, la Development Bank of Afghanistan. Quasi un miracolo. All’inizio di quest’anno, a 34 anni, è divenuto amministratore delegato della seconda banca privata del paese, la Hazizi Bank. La ricetta del suo successo? Diciotto ore di lavoro al giorno, per sette giorni la settimana, e una mentalità da imprenditore occidentale. Ed ecco che la banca, per la prima volta da quando è nata (nel 2006), festeggia i suoi primi profitti: «Finora 500mila dollari, ma a fine anno ritengo arriveremo a 4-5 milioni. I nostri clienti sono saliti a 280mila e i depositi sono quasi raddoppiati, a 440 milioni di dollari. Puntiamo a espanderci, quest’anno intediamo aprire 15 nuove filiali (portando il totale a circa 80, ndr)».
Il momento di grande crescita, tuttavia, non soddisfa Haidari, laureato negli Usa e professore universitario a Kabul: «La sicurezza è il nostro maggiore limite. Senza contare la diffidenza dei paesi occidentali verso le nostre banche». Haidari poi esprime un suo interessante punto di vista: «Gli americani stanno commettendo un grande errore. La guerra contro i talebani, gli insorti, i signori della guerra si vince su più fronti. Non solo su quello militare. E un fronte importante è la formazione di una generazione di afghani istruita all’estero e capace di assumere le redini del sistema finanziario. Ma questo gli americani non lo vogliono capire. Sono rigidissimi nel rilasciare i visti per chi vuole fare un dottorato negli Usa. Io per esempio ho dovuto rinunciarci perché non volevano rilasciarlo alla mia famiglia. Eppure chi ha svolto il lavoro di interprete delle loro truppe ha diritto a un visto, e a volte alla green card. Se vogliono davvero vincere la guerra e combattere la corruzione devono aiutarci a camminare da soli». A proposito, anche lui, già da alcuni mesi, sta studiando come emettere la prima carta di credito da usare in Afghanistan.