il Giornale, 15 agosto 2018
Facciamo i conti ad Autostrade: profitti da record ma tagli alla sicurezza
Era il 4 settembre del 1967: c’erano la banda, il vescovo e il presidente Saragat. All’inaugurazione del Ponte Morandi, 50 metri di altezza sul torrente Polcevera, l’Italia del boom celebrò l’età d’oro delle costruzioni autostradali. Gran parte della rete che usiamo ancora oggi risale a quel periodo. Il tempo, però, è passato inesorabile e a cinquant’anni di distanza, ponti, viadotti, gallerie sono sempre più vecchi e malandati. In compenso i soldi impiegati per la manutenzione si riducono sempre di più.
Il discorso si ripete identico quando a precipitare è uno dei 30mila tra ponti e viadotti in carico alle province, o uno dei 15mila affidati all’Anas. Solo negli ultimi anni i crolli sono stati una decina, i casi più clamorosi l’implosione di una rampa della tangenziale di Fossano e il crac di un cavalcavia della Milano-Lecco. In questi casi finiscono di solito sotto accusa l’inerzia della burocrazia o i tagli alla spesa pubblica che ostacolano la manutenzione di infrastrutture vitali. Ma per il ponte di Genova c’è qualche cosa di diverso: la gestione fa capo al principale concessionario autostradale del nostro Paese, Autostrade per l’Italia (gruppo Atlantia-Benetton) che amministra quasi metà dei 6mila chilometri di rete della Penisola.
Gestire un’autostrada in Italia è un affare d’oro: secondo i dati del Ministero dei Trasporti relativi al 2016 (ultimo anno per cui si hanno dati completi) i 24 concessionari italiani hanno incassato 6,9 miliardi. Il loro utile netto è stato di 1,11. In pratica su 100 lire incassate, ai gestori ne rimangono 16 pulite pulite. Un gran risultato per qualsiasi azienda. E Autostrade per l’Italia fa perfino meglio: 3,1 miliardi messi in cassa nel 2016, 624 milioni l’utile pagate le tasse, un ricco 20%. Negli anni della grande crisi il prodotto interno della penisola si è ristretto, la torta è diventata più piccola per tutti. Per tutti, ma non per i concessionari, che hanno potuto contare su un aumento dei pedaggi di circa il 30% dal 2008. Una cuccagna. Eppure, se si guarda all’altra faccia della medaglia, a quanto i gestori hanno investito sulla rete autostradale, le cifre sono in continuo calo: erano 2 miliardi nel 2012, e giù a precipizio fino ai 1064 milioni del 2016. Solo rispetto all’anno precedente il 24% in meno. Siamo alla metà di quanto si spendeva sei anni fa. Perfino la manutenzione ordinaria, quella di base, nel corso di 12 mesi è scesa del 7%.
Come è possibile che gli incassi aumentino e gli investimenti diminuiscano? La chiave è negli accordi di concessione, i documenti che stabiliscono diritti e doveri del concedente, lo Stato, e del concessionario, il gestore privato. Contrattati dal Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture e dai gestori privati, sono intese in cui gioca un ruolo fondamentale anche la politica. E molto spesso la debolezza, o l’insipienza, della politica. Se ne è parlato anche a proposito dell’ultimo grande progetto autostradale sul tappeto, che riguarda proprio Genova. Alla fine dell’anno scorso un decreto voluto dal ministro Graziano Del Rio ha dato il via libera alla cosiddetta Gronda, una super tangenziale intorno al capoluogo ligure. A realizzarlo sarà proprio Autostrade per l’Italia: i lavori sono previsti tra il 2020 e il 2028, per un costo complessivo, considerati tutti gli annessi e connessi, di 7,8 miliardi di euro. In cambio il governo ha concesso al gruppo Atlantia-Benetton una proroga della concessione dal 2038 al 2042, quattro anni in più di incassi. Quando poi la concessione finirà, se si farà una gara e questa sarà vinta da un altro gestore, il nuovo arrivato dovrà versare ai Benetton un indennizzo pari a 5,7 miliardi. Viste le cifre, uno dei maggiori esperti del settore, Giorgio Ragazzi, allievo di Francesco Forte ed ex economista del Fondo Monetario ha parlato di un «regalo» fatto ad Atlantia.
Poche settimane fa l’Unione Europea ha dato il via libera all’intesa: le concessioni andrebbero assegnate con una gara, ma in questo caso l’interesse pubblica giustifica la proroga. Ora gli investimenti previsti sono di fatto sbloccati. Ma per i morti del ponte Morandi ormai è troppo tardi.