la Repubblica, 14 agosto 2018
Il mito Ape ora guarda a Est
PONTEDERA È diventata più trasformista di Zelig. Fa la pizza, serve gli aperitivi, porta in giro gelati e abiti, offre pasta e prosecco, il pane e le rose. Nomade come è sempre stata, su tre ruote nella sua versione classica. Perfetta per lo slalom urbano, un po’ meno per la velocità. L’Ape compie settant’anni, ma è lontanissima dalla pensione: si lancia verso nuovi mercati in Asia senza trascurare l’Europa. In Italia, vive una seconda giovinezza grazie allo street food, con aziende e designer che si cimentano nel reinventarla, partendo dal prodotto base che esce, oggi come ieri, dalla fabbrica Piaggio di Pontedera, nel Pisano. Lo stesso della Vespa che dell’Ape è parente stretta: entrambe sono state create dall’ingegner Corradino D’Ascanio, disegnatore e geniale progettista. È stato lui a voler attaccare allo scooter più iconico del mondo, un cassone e due ruote. Ora quel quadrato di legno incollato alla Vespa è un pezzo esposto nel museo Piaggio che a Pontedera colleziona ricordi e successi di un’industria metalmeccanica che aveva qui il suo acceleratore: «Eh, negli Anni ‘70, lavoravano 12mila persone in quei capannoni» dice un ex operaio del reparto verniciatura. Oggi ne sono rimasti più di tremila «perché oramai questo non è l’unico centro di produzione», ricorda il sindaco Simone Millozzi. Piaggio nel mondo ha oltre 7mila dipendenti, la metà dei quali in Italia. L’Ape, da un decennio, viene anche prodotta a Baramati, in India, lo stabilimento che ha appena festeggiato i due milioni e mezzo di pezzi (lì Piaggio è leader nel trasporto merci col 49% del mercato). Del resto di strada ne ha fatta tanta questa specie di furgoncino, dai costi limitati e dall’estro pratico: «Fin dal nome, si capisce quale fosse la sua vocazione: il lavoro, dalle officine alle campagne – spiega Romina Giannotti, responsabile delle visite didattiche al Museo Piaggio – la chiamarono Ape per via dell’ape operaia». Rispetto alla Vespa, un’altra storia: muscoli, cantieri, consegne a domicilio, ditte individuali, secchi e vernici, bassi consumi e robustezza. Un profilo perfetto nell’Italia della ricostruzione dopo la guerra e in quella del boom economico. Un prodotto che, dicono alla Piaggio, «va fortissimo nelle economie in via di sviluppo». Infatti dopo aver conquistato parti dell’Europa si è tuffata in Egitto, in Messico e nel mercato asiatico. Prima in l’India, poi il Vietnam, ora la Cambogia, paese fra i più dinamici. Lì Ape presenta una versione a Gpl, il City Lpg telonato per il trasporto della gente. «Accanto alle merci, questo mezzo fin dagli anni ‘50 è stato usato in certe versioni come calessino, taxi e tuk tuk» riprende Romina Giannotti.
Quello che ha permesso all’Ape di restare sulla cresta dell’onda in tempi e mercati molto diversi è la sua capacità di modificarsi: dall’Apino versione 50 che arrancava nelle salite, all’Ape car degli Anni ‘70, a quella di design inventato da Giorgietto Giugiaro, alle versioni telonate, scoperte, con manubrio, con volante, benzina, diesel e da poco anche in versione green, elettrico. Dagli stabilimenti Piaggio sono andati in giro per i continenti oltre sette milioni di questa tre ruote diventata cult tanto da attraversare set cinematografici: dai vicoli della Livorno popolare di Ovosodo alle atmosfere eleganti e retrò diGrand Hotel Budapest, a pietre miliari del nostro cinema comeProfessione: Reporter e Il Mattatore. Eclettica, economica e trasversale, con quell’aria ruspante e snob di chi può permettersi di viaggiare slow sopportando le fatiche con un motore borbottante a cui adesso gli ingegneri Piaggio pensano di rimettere le mani. Per la festa dei settant’anni, l’appuntamento è dal 21 al 23 settembre col raduno a Salsomaggiore (le iscrizioni su www.apeclubditalia.it) e lì verrà presentato un nuovo modello di Ape 50, euro 4. Per continuare la leggenda di Davide contro Golia, l’Ape che resiste al tempo dei Suv, un ossimoro o un miracolo italiano, fate voi.