La Stampa, 14 agosto 2018
Giacarta affonda nell’Oceano. Entro 30 anni sarà sommersa
La megalopoli di Giacarta, con 10 milioni di abitanti, ma con più di 30 milioni di persone che vivono nella regione, sta smottando al doppio della velocità media di tutte le metropoli costiere al mondo: Giacarta-Nord è già sprofondata di due metri e mezzo negli ultimi 10 anni, un intero piano, con una media di 25 cm l’anno.
«Non è una barzelletta» assicura Heri Andreas, che studia il fenomeno all’Istituto Badung da decenni, «entro trent’anni la parte costiera della città potrebbe trovarsi al 95 per cento sott’acqua». Affacciata a Nord sul Mare di Java, circondata a Sud da foreste dove piove 300 giorni l’anno e da montagne che scaricano a valle acqua piovana incanalata in 13 fiumi, i primi fondatori la chiamarono Jayakarta, «la città vittoriosa». Ma minacciata com’è dal livello dei mari che si alza a causa del surriscaldamento, Giacarta oggi rischia di perdere la battaglia per la sopravvivenza.
A pesca in fabbrica
Non è difficile scoprire ragazzini che pescano all’interno di fabbriche semi-sommerse, se e quando si riesce ad emergere dal groviglio di autostrade e grattacieli di una città-mostro dove scovare un parco è più raro che avvistare un rinoceronte giavanese. Nel quartiere di Muara Bari si trovano palazzi abbandonati dove solo la veranda al primo piano è rimasta all’asciutto. E, come i residenti sanno e testimoniano, come conferma anche Ridwan: «Anno dopo anno, il terreno affonda».
L’Amsterdam dei Tropici, rifondata dai coloni danesi che costruirono una graticola di canali e strade come nei Paesi Bassi, è ora vessata non solo da alluvioni lampo, ma da un lento e costante sprofondamento della città sotto il livello del mare.
Una principale concausa del riscaldamento globale è l’anarchia delle trivellazioni per estrarre acqua dai pozzi. L’ente municipale è in grado di far fronte al fabbisogno idrico di solo il 40 per cento della popolazione. Quindi ha consentito l’estrazione dell’acqua con alle pompe private, anche se, in teoria, non con un volume indiscriminato. Ma il contesto di corruzione e di conflitti tra estremisti islamici e indonesiani laici, tra musulmani e indonesiani di origini cinesi hanno bloccato sia i controlli che il progresso riformista per pulire i fiumi, regolamentare le estrazioni e arginare la cementificazione.
Così si continua a scavare per l’acqua, inaridendo caverne profonde, con conseguenti crolli che fanno abbassare il livello della città. Anche la soluzione dei bio pori, scavando pozzetti di 1 m di profondità e 10 cm di diametro per restituire le acque al terreno non ha molto senso, perché gli scarichi non vanno in profondità e anzi annacquano le fondamenta.
Migliaia di «kampung», i piccoli quartieri improvvisati, costellano la grande capitale. Quelli vicine al mare sono vere è proprie cittadelle su palafitte con le acque sottostanti utilizzate come fogne a cielo aperto. Quando i fiumi si gonfiano ristagna tutto con risultati insalubri.Si è parlato di spostare la capitale, ma con poco successo. Si conta molto su il Grande Garuda, soprannome della muraglia costiera costruita negli ultimi anni con la collaborazione degli olandesi che dovrebbe servire ad arginare le mareggiate. Ma, in realtà, esistono dozzine di punti deboli, dove il muro e più sottile o più basso. Se le acque facessero breccia, il Grande Garuda servirebbe solo a trasformare Giacarta nella più grande tazza da wc del mondo. D’altronde non è possibile aspettarsi molto altro da una metropoli dove il 97% del territorio è asfalto e cemento, dove tutti o quasi i campi sono divenuti gettate di cemento, e dove le mangrovie che aiutavano i canali a defluire sono ora palazzi residenziali o baraccopoli. Bisognerebbe ripristinare le mangrovie, restituire parte della città al mare, argomentano le voci più logiche. Ma sono temi impopolari che già sono costati la rielezione dell’ex governatore Ahok, ora in prigione con accuse pretestuose di blasfemia.
Le altre città a rischio
Giacarta non è sola. C’è anche la nostra Venezia e la sfortunata New Orleans, in America. Venezia continua ad affondare in modo lento, ma a una velocità maggiore di quanto previsto, e in più si sta inclinando leggermente verso Est. Non c’è solo il livello del mare che si sta innalzando per il riscaldamento globale, ma anche il suolo che s’abbassa, per il fenomeno della subsidenza. A Venezia avviene con un tasso di circa 2 millimetri l’anno. Gli studiosi legano il fenomeno all’estrazione di acque dalle falde sotterranee, messa in atto dagli anni Venti agli anni Settanta, per raffreddare gli impianti di Porto Marghera. Il pompaggio di conseguenza fu vietato: la subsidenza artificiale si fermò, ma non quella dovuta a cause naturali, come l’inabissarsi dei suoli nelle zone umide. Anche New Orleans deve affrontare una minaccia dal mare e dalla terra. La disastrosa inondazione dell’uragano Katrina ha contribuito a rendere drammatica la situazione: la maggior parte della metropoli nella Louisiana è al di sotto del livello del mare, da 1,5 a 3 metri, e secondo il U.S. Geological Survey il livello del mare sulla città potrebbe innalzarsi da 2,5 a 4 metri.
Ma anche l’Asia pullula di popolose città costiere a rischio. Nelle ultime settimane si è parlato di Bangkok, afflitta dai monsoni e di nuovo alluvionata. Se non si interviene, anche lei rischia di finire 5 metri sott’acqua entro 15 anni poiché la capitale tailandese si trova a circa un metro e 60 sotto il livello del mare e sta sprofondando di 2 cm l’anno. Un nuovo studio del governo tailandese sostiene che la capitale, con 14 milioni di abitanti, potrebbe finire sott’acqua per la stessa subsidenza di Giacarta. Il Consiglio della Riforma Nazionale ha avvisato che «soluzione immediate e costose sono indispensabili per evitare la catastrofe innescata da eccessive estrazioni d’acqua dalle falde acquifere, dal peso dello sviluppo edilizio fuori controllo e dai livelli del mare che aumentano»Poi c’è Colombo, nello Sri Lanka, Ho Chi Min City in Vietnam, Mumbai e Chennai, in India, e Dacca, con gran parte del Bangladesh. Qui si prospettano non solo grandi e pericolose alluvioni, ma il vero allagamento di pezzi di città con costi umani al momento incalcolabili.