La Stampa, 13 agosto 2018
A trent’anni dalla morte di Enzo Ferrari, l’uomo che creò un mito
«Date a un bambino un foglio di carta, dei colori e chiedetegli di disegnare un’automobile: sicuramente la farà rossa». Enzo Ferrari sapeva di non aver creato solo delle vetture sportive o dei prototipi per la Formula 1: le Ferrari sono archetipi delle macchine da corsa, simboli universali di potenza e velocità. Trent’anni dopo la sua morte, quei valori sono rimasti intatti. Le Ferrari sono le Rosse, bisogna aspettare mesi se non anni per comprarne una, occorre essere dei campioni per avere il privilegio di guidarle in un Gran premio.
Era il 14 agosto del 1988 quando il fondatore ci lasciò. Aveva 90 anni. L’annuncio venne dato solo dopo Ferragosto: non c’erano i social, non esisteva internet, i telefonini erano un lusso di pochi e comunque non mandavano messaggi (il primo sms della storia sarà inviato quattro anni dopo). La notizia raggiunse lentamente l’Italia in vacanza. Era un altro mondo, eppure la passione per Ferrari è rimasta immutata.
Quel miracolo a Monza
Il 1988 era l’anno della McLaren, Ayrton Senna e Alain Prost avevano vinto le prime undici gare e si preparavano a spartirsi il Gp d’Italia in una Monza in lutto. Sarebbe servito un miracolo per rovesciare il pronostico, e quello che accadde gli somiglia molto: a due giri dal traguardo Senna si accingeva a doppiare Jean-Louis Schlesser, che sostituiva Nigel Mansell malato di varicella e correva per la prima e ultima volta in Formula 1. Schlesser sbagliò le misure e speronò Senna, spalancando la pista alle Ferrari di Gerard Berger e Michele Alboreto. Una doppietta incredibile. Il Drake era ateo e non credeva nella fortuna, ma da lassù ci perdonerà se abbiamo pensato a un suo regalo, l’ultimo, ai tifosi dell’Autodromo e di tutto il mondo.
Per l’anagrafe di Modena Enzo Ferrari era nato il 20 marzo del 1898, in realtà era venuto al mondo due giorni prima durante un’abbondante nevicata: il padre Alfredo aveva atteso che il tempo si rimettesse prima di andare a registrarlo. Il piccolo Enzo si appassionò in fretta ai motori, che per le conoscenze dell’epoca rappresentavano la frontiera della tecnologia. Dopo qualche tentativo da pilota, prevalse in lui lo spirito imprenditoriale. Nel 1929 a Milano aprì una scuderia che sviluppava le Alfa Romeo, nel 1937 a Modena creò l’Avio Auto Costruzioni, trasferita a Maranello nel ’43 per evitare i bombardamenti. In quell’officina nacque ufficialmente nel ’47 la Scuderia Ferrari. Tre anni dopo cominciò il Mondiale di Formula 1: le Rosse di Maranello sono le uniche monoposto ad aver partecipato a tutti i 69 campionati. E sono anche le più vincenti, con 16 titoli mondiali dei costruttori e 15 dei piloti. In mezzo ai successi, tante tragedie. Il Drake fu definito «un moderno Saturno che divora i suoi figli», lui ci restò malissimo: «Di me dite quello che volete, ma giù le mani dalla Ferrari».
Con Scheckter l’ultimo titolo
Il colore, che pure ha cambiato sfumature nel corso del tempo, non fu soltanto un’idea del fondatore: convenzionalmente alle auto da corsa era stato attribuito un colore in base alla nazionalità e all’Italia era toccato il rosso, così come all’Inghilterra il verde, alla Francia il blu, alla Germania il grigio argento. Ferrari e le Ferrari, però, si distingueranno per un altro marchio iconico: il cavallino rampante, donato dalla madre di Francesco Baracca, asso dell’aeronautica durante la Prima guerra mondiale, impresso su fondo giallo, il colore della città di Modena.
Il primo successo arrivò nel 1951, firmato da Froilan Gonzalez a Silverstone, mentre il primo campionato fu vinto da Ascari l’anno successivo. «Mai diventare amico dei piloti, sono infedeli», raccomandava Ferrari al figlio Piero. Con Lauda, per esempio, il rapporto fu difficile malgrado i due Mondiali vinti e quello perso nel ’76 dopo l’incidente del Nuerburgring. Troppo freddo, troppo calcolatore l’austriaco. Ferrari preferiva il coraggio di Gilles Villeneuve, uno dei pochi che fece breccia nel suo cuore: «Io gli volevo bene», si lasciò scappare dopo la sua tragica morte. Tanti campioni si alternarono: l’ultimo conosciuto dal Drake fu Jody Scheckter nel 1979. Ventuno anni dopo cominciò l’epopea di un certo Michael Schumacher e la Ferrari entrò nel futuro. Oggi dallo stabilimento escono ogni anno novemila vetture stradali e due monoposto che lottano per il titolo mondiale. Tecnologia estrema senza mai tradire i valori del fondatore: sportività, lusso, cura artigianale dei dettagli, unicità ed esclusività. La prima rifondazione la si deve a Luca Montezemolo, la seconda si è chiusa meno di un mese fa con la morte di Sergio Marchionne, che nel 2014 appena entrò nel suo nuovo ufficio guardò il muro dietro la scrivania e disse: «Lì voglio una foto di Enzo Ferrari».