Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  agosto 13 Lunedì calendario

Abitanti stipati, cemento e parcheggi inutili: viaggio a Casavatore, il paese senza verde

Non è vero che a Casavatore non ci siano alberi. Alcuni sopravvivono, presidiati e venerati dagli anziani di questa cittadina a Nord di Napoli dove oltre il 90 per cento del territorio è coperto da cemento, asfalto, calce e rifiuti. E dove si ammassano oltre 12 mila abitanti per chilometro quadrato. In entrambi i casi si tratta del record assoluto in Italia e gli abitanti ne farebbero volentieri a meno. 
Ma d’altra parte lo spazio a disposizione supera di poco il chilometro quadrato; un’area da paesino di montagna con una popolazione da piccola città. Il risultato è una manciata di strade e una massa di costruzioni. Dove si apre un varco appare subito un altro edificio alle spalle. 
Esistono anche una piazza e un corso principale, come in ogni cittadina che si rispetti. Un tempo lo chiamavano il centro storico, ora i casavatoresi si limitano a chiamarlo centro perché di storico è rimasta la chiesa che risale al Seicento, e non molto di più. 
Scomparsi i palazzi delle antiche famiglie per lasciare posto a comparti edilizi, scomparse le terre, i macelli e le campagne. Scomparsa la Villa Comunale, il luogo di ritrovo di tutti lungo il corso principale, con panchine per gli anziani e giostre per i bambini. Tre anni fa è stata buttata giù per fare spazio a un megagalattico parcheggio sotterraneo. Due milioni di euro che avrebbero dovuto risolvere ogni problema di parcheggio della cittadina e creare una piazza con un campo di calcio, fontane, marmi, ascensore per scendere al parcheggio. Inaugurazione nel 2016 con grande entusiasmo da parte dell’amministrazione comunale dell’epoca, molto meno da parte degli abitanti. 
Il parcheggio-discarica
Non avevano torto. Due anni dopo il parcheggio è una discarica di rifiuti, il campo è stato semi-smantellato, le fontane sono secche, il marmo è rotto, le poche aiuole sono state declassate a bagno per cani. Oltretutto l’amministrazione è stata sciolta per infiltrazioni camorristiche, la gestione del Comune è affidata ai commissari prefettizi che hanno denunciato gli abusi realizzati nella concessione dei permessi per costruire, ma ormai il cemento è lì. 
«E che ce ne dobbiamo fare di questo posto?», chiede Luigi Sarno, 70 anni. «È una piazza di cemento armato. Avete provato a rimanerci più di cinque minuti? Ci si cuoce sotto il sole e bruciano gli occhi per la luce abbagliante. Ma chi l’ha avuta questa idea?». Luigi e il suo amico Alfredo Iavarone, infatti, rimangono tutti sulla parte opposta del corso, l’ultima dove resistono alcuni alberi degni di questo nome con foglie e la possibilità di creare ombra. 
«Il verde è il colore della speranza ma qui a Casavatore sono scomparsi il verde e la speranza», commenta Emanuele Scafuto, ingegnere ambientale e vicepresidente di Legambiente Afragola. 
«Casavatore era un parco-giardino, ora è un enorme parco del cemento», racconta padre Raffaele, uno dei sacerdoti della parrocchia Gesù Cristo Lavoratore. Ha 85 anni, da tempo i suoi occhi non vedono più ma ricorda bene il suo paese quando era pieno di giardini, prati, ragazzi che giocavano a pallone ovunque. 
Il passato dimenticato
Ricorda i suoni e i profumi, molto diversi da quelli che incontra oggi. Quando esce sotto i suoi passi ci sono solo asfalto e rifiuti. Dei profumi si è persa ogni traccia. «Ci hanno abboffato di parchi edilizi», denuncia Giuseppe Carobene, titolare di uno dei bar della cittadina. «E ci hanno riempito di persone di fuori. Ormai Casavatore è un dormitorio, dove ci si ritira solo per dormire. A noi restano le case, il degrado e nemmeno più i clienti. Hanno fatto i fatti loro, hanno guadagnato imponendoci tonnellate di cemento e distrutto il paese. Non abbiamo più nemmeno le scuole superiori, solo una succursale di un istituto tecnico. È il modo migliore per distruggere una comunità». L’inizio della fine risale agli Anni Ottanta, ricorda Giuseppe Carobene. Casavatore fu tra i Comuni dove si decise di costruire case di edilizia popolare per dare una casa a chi l’aveva persa durante il terremoto dell’Irpinia. «Ma non arrivarono i terremotati veri. Ci hanno riempito di persone che hanno portato solo delinquenza e illegalità. Non ho paura a dirlo».
A pochi metri dal suo locale, in pieno centro di Casavatore, c’è il Comparto 7, un caseggiato di edilizia popolare popolato da oltre settanta persone, qualcuno agli arresti domiciliari, qualcuno fermato troppo spesso per spaccio, ma molti altri costretti a vivere nell’ennesima colata di cemento dove il parcheggio è sequestrato da anni perché è ridotto a una discarica di amianto e rifiuti, dove le pareti sono attraversate da profonde crepe, i contatori della luce hanno i cavi vandalizzati, gli ascensori sono fermi e la corrente elettrica va e viene perché ogni tanto qualcuno si allaccia abusivamente alle centraline. Tamara ha al massimo una trentina d’anni e ne dimostra dieci di più: «Soltanto una cosa abbiamo in questo paese: il cemento».