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 2018  agosto 13 Lunedì calendario

Gianni Battistoni: «Le regole dell’eleganza che Roma dimentica»

A un certo punto Jude Law si volta verso Matt Damon: «Quando saremo a Roma ti comprerò una giacca in un posto fantastico: da Battistoni». Il film è del 1999, e lo girò Anthony Minghella, ma Patricia Highsmith scrisse Il talento di mr Ripley nel ’55. Il che dà conto bene di quanto sia ormai lunga la stagione in cui la più classica boutique da uomo della capitale è entrata tra le mete fisse dei “rich and talented” americani che sbarcano sul Tevere. «Papà la aprì nel 1946: la città ci è cambiata intorno, ma noi in fondo non siamo cambiati tanto». Sulle pareti del negozio, ancora nascosto in fondo al cortile di Palazzo Caffarelli, ci sono lavori di Schifano e De Chirico e foto con dedica di divi e di potenti. Quelle in bianco e nero con Kirk Douglas e Lauren Bacall mischiate a quelle a colori di un passato più recente, con un Richard Gere ancora non del tutto imbiancato o di Bill Clinton, ai tempi in cui l’ombra di Monica Lewinsky non si era allungata sui suoi otto anni alla Casa Bianca: una piccola galleria dei personaggi che scendendo via Condotti da piazza di Spagna si sono fermati per misurare un abito, comprare una camicia o semplicemente per fare due chiacchiere.
Prima con papà Guglielmo, il fondatore, e poi con Gianni Battistoni, che a 79 anni appena compiuti, è tante altre cose oltre ad essere il patron della “bottega”. È avvocato, per esempio. Da vent’anni presidente della associazione dei commercianti di via Condotti. Per molti lustri padre padrone ma anche appassionato tennista del Circolo Canottieri Roma, e ora sponsor di una squadra di Polo che lo scorso anno è arrivata seconda ai campionati Italiani.
Roma è cambiata. In meglio o in peggio?
«Lei che dice? Un tempo qui per via Condotti era pieno di artisti che si davano appuntamento al caffè Greco. Ancora mi ricordo di quando Marlon Brando fece a braccio di ferro con mio padre. Brando era bellissimo. O le volte in cui Humphrey Bogart si rifugiava da noi per bere in pace un whisky. Conservavamo la sua bottiglia dentro un armadio. Ora il centro di Roma è diventato un bunker. La pedonalizzazione lo ha ucciso. A Milano i milanesi frequentano tutti via della Spiga, e in molti ci vivono. Da noi in centro ormai ci sono solo i turisti. Ed economicamente parlando, molti pure di basso livello. Basta vedere la Scalinata di Trinità dei Monti come è ridotta a pochi anni dal restauro».
Eppure via Condotti è una delle vie con gli affitti più cari al mondo.
«È vero, si può arrivare anche a 200 mila euro al mese. Ma — appunto — certe cifre se le possono permettere solo i grandi gruppi economici. La vetrina sulla via diventa per loro uno spot che aiuta a vendere nel mondo. Così c’è stata una cannibalizzazione a catena. I negozi hanno spianato le botteghe, le industrie a loro volta hanno soppiantato le boutique».
E di mezzo c’è andata la sartorialità…
«Beh, è evidente che le griffe puntano su capi diversi da quelli delle botteghe di tradizione. Io ad esempio sono sempre stato dell’idea che una persona è veramente elegante quando passa inosservata tra la gente. Non sono per gli estremismi: le giacche strizzate o i pantaloni troppo stretti non mi piacciono»
E la giacca? Quanti bottoni?
«Tre. Con un’accortezza: il primo deve avere l’asola a rovescio rifinito. Perché il primo e il terzo bottone non si devono allacciare».
La cravatta. Larga, stretta, lunga?
«Di solito segue l’andamento economico. Negli anni del boom era larghissima. Ora siamo intorno agli otto centimetri. Solo Hermès non ha mai cambiato le misure».
Il risvoltino dei pantaloni?
«Dipende dal tessuto: ma comunque stretti stretti e corti stile city londinese non mi piacciono».
Avete sempre flirtato con gli artisti, qui…
«Sa, Guttuso ha disegnato la bottiglia del profumo Marte, da uomo e Marta, da donna. Ma anche dei foulard con raffigurati dei limoni. Fontana invece vinse il Premio Cravatta istituito da mio padre: un milione di lire, per creare un disegno ad hoc. Picasso, fuori concorso, ci regalò il logo di un reggimento inglese».
C’è un capo che sta tornando di moda?
«La vestaglia».
Veramente?
«Altroché: di seta per tutto l’anno o di cachemire per l’inverno. Caldissime. Nulla però in confronto ai plaid di pelliccia di guanaco che si comprava Luchino Visconti».
E il potere? I sindaci? Con loro come è andata, e come va?
«L’ultimo periodo di splendore di vita culturale di questa città c’è stato con Rutelli e Veltroni.
Invece da Alemanno in poi...».
A proposito di poteri, lei è socio della Canottieri Roma da 52 anni. Si dice che molto a Roma sia stato deciso negli spogliatoi lungo il Tevere.
«Diciamo che anche i circoli, come tutta la città hanno avuto dei cambiamenti naturali. Oggi sono più circoli sportivi e meno di idee».
Al Canottieri Roma tra i vostri soci c’è anche il premier Giuseppe Conte.
«Sì, ogni tanto viene a prendere un caffè. Ha iscritto anche il figlio a un corso sportivo».
Ma è vero che appena è circolato il nome di Conte per Palazzo Chigi, in tanti al circolo si sono lamentati che aveva quote in sospeso?
«Tutto a posto. Ora le ha saldate. Gli abbiamo mandato una letterina d’incoraggiamento». (ride)
Non è mai stato tentato dalla concorrenza? Giovanni Malagò l’ha mai invitata all’Aniene?
«Beh in effetti sì. È uno splendido padrone di casa. Ma anche Giovannino sa che alla Roma ho troppi ricordi e cambiare casa a una certa età è complicato. E poi comunque all’Aniene ci si va per incontrare gente, per fare carriera. Io sinceramente, carriera l’ho già fatta… Ma non mi ci faccia litigare, eh?», conclude con un altro sorriso.