la Repubblica, 13 agosto 2018
Corpi nudi e giarrettiere ma il disordine all’opera stona
Anche Rossini ha i suoi misteri, che alati studiosi ancora non sono riusciti a svelare del tutto. Per esempio questa Adina, farsa in un atto che sta mettendo di massimo buonumore il pubblico (più italiani che stranieri, più maschi in coppia che signore firmatissime) del XXXIX Rossini Opera Festival di Pesaro. In quei tre anni, dal 1817 al 1819 il già celebre compositore scrisse una decina di opere tra cui, più frettolosamente del solito, la storia insensata del Califo (così scritto) che vuole sposare Adina prigioniera nel serraglio, ma lei è innamorata dell’arabo Selimo, e tutto finirà bene. Scritta esattamente 200 anni fa su richiesta di un committente di Lisbona, fu poi data per la prima e pare unica volta otto anni dopo sempre nella capitale del Portogallo. Gli esperti che si accaniscono amorosamente sulle fonti, sanno che del Maestro c’è solo una parte dello spartito, altre sono redatte da copisti, ma anche da un Compositore, definito Misterioso, giudicato eccellente e non ancora rintracciato. A nessuno degli esperti rossiniani che frugano incessantemente in ogni fonte possibile, è balenata la tuttora folle idea che il Compositore possa essere una Compositrice: non si dice Isabella Colbran che già viveva con Rossini a Bologna e che componeva arie sue, Amo te solo, Ombre amene, dedicate vuoi all’imperatrice di Russia che alla regina di Napoli, ma qualche altra segreta dama nascosta nell’anonimato per proteggere le sue virtù di gran signora. Pardon. Ma intanto la nuova Adina, ripresa solo 136 anni dopo a Siena e qui a Pesaro nel 1999 nell’edizione critica della Fondazione, è un confortante trionfo di giovani, belli e molto bravi come tutti gli interpreti del Rossini Opera Festival: il soprano americano Lisette Oropesa dalle belle gambe nude, il baritono napoletano Vito Priante dalla giacca di broccato sul busto da modello, il tenore sudafricano Levy Sekgapane con la faccia da bambino, il direttore d’orchestra venezuelano Diego Matheus che viene dalla scuola di Abreu, e la cinefila regista Rosetta Cucchi.
Dal serraglio del Califo di Bagdad, la scena è spostata con grazia attorno a una enorme torta di nozze glassata a più piani, nell’atmosfera di Grand Budapest Hotel di Wes Anderson, con fattorini mimi e cuochi saltimbanchi, camerierine sosia di Shirley Temple e Selimo vestito come i galeotti neri diFratello dove sei? dei Coen. Piacevole casino che sottomette il pasticcio musicale, pur sempre rossiniano e quindi seducente, a una elegante euforia visiva.
Invece massimo casino tanto da provocare allucinazioni, sul palcoscenico della nuova edizione di Ricciardo e Zoraide, ricomparsa sulle scene nel 1990 a Pesaro, dopo la ricostruzione degli esperti della Fondazione, alle prese col disordine operistico d’epoca e in particolar modo del troppo impegnato Rossini. La regia e la coreografia dei canadesi Marshall Pynkoski e Jeannette Lajeunesse Zingg, marito e moglie da trent’anni, hanno praticamente sotterrato la bellissima musica affidata all’orchestra sinfonica della Rai diretta da Giacomo Sacripanti (critici immusoniti) con uno degli spettacoli più gay degli ultimi anni, tanto che persino i melomani gay non sono stati contenti. Abbracci continui tra maschi a torso nudo e non o con gilet di lamé a reggipetto, ballerini in calzamaglia molto aderente anche color carne, quasi sempre con le giovani natiche che paiono nude offerte saltellando al pubblico. Oltre alle giarrettiere che di profilo facevano pensar male.
Banda musicale sul palcoscenico, voluta per la prima volta da Rossini, tra l’entusiasmo dei suoi contemporanei, seguito come racconta Il furore e il silenzio, la magnifica biografia rossiniana di Vittorio Emiliani, “da un tempo di ballo che in un certo senso anticipava il grand-opéra”. Ballo che in realtà, assicurano, non c’era e non c’è mai stato e che invece l’ardita coppia ha inserito, giovanetti come si è detto, giovanette tipo Lago dei cigni, non particolarmente brillanti.
Trama drammatica, però con happy-end: tempo delle crociate, dama crudele e gelosa, sposa in via di ripudio del re africano innamorato di Zoraide figlia dello sconfitto principe arabo e lei innamorata del crociato Ricciardo: molte scenate, molti sussurri e grida d’amore, morte sì, morte no, alla fine no. La sudafricana Pretty Yende, Zoraide, bravissima e regale, con la sua altezza obbliga gli spasimanti a stare spesso in ginocchio. Il celebre tenore di origine peruviana ormai pesarese, Juan Diego Flórez, Ricciardo, ha raggiunto vette altissime, il tenore russo Sergey Romanovsky, Agorante, e la mezzosoprano russa Victoria Yarovaya, Zomira, la consorte bidonata, malgrado i loro costumi, sono davvero ammirevoli.
L’anno prossimo si festeggiano i quarant’anni del festival pesarese e il programma è dei più allettanti. Ma ormai delle 39 opere del pesarese, solo una non è stata ancora recuperata del tutto, Eduardo e Cristina un “centone” come si dice, di altre opere che dal 1819 e per qualche anno piacque moltissimo.
Gli appassionati temono quindi che questo Festival unico al mondo per l’impegno a restituire tutto il grande Gioachini Rossini attraverso il lavoro della Fondazione, diventi come altri.
Bisognerà creare un nuovo progetto.