il Fatto Quotidiano, 13 agosto 2018
Sfigati o fortunati? Quelli che… non ritirano le vincite milionarie
La dea bendata è passata di fretta e ha posto lo sguardo su di te. Proprio nel momento in cui eri intento ad acquistare una schedina precompilata del Superenalotto in quella tabaccheria decadente dove le slot machine e il vecchio gestore fanno a gara a chi frega più soldi. Proprio in quell’attimo, quando afferri quel semplice tagliando (i numeri nemmeno li guardi, tanto quella lampada al neon di luce ne ha fatta sempre poca), un essere superiore decide che è arrivata la gloria. Ebbene quei sei numeri improbabili (ma quando mai usciranno insieme il 49 e il 50, e il 56 poi… ), quelle cifre bizzarre raggruppate dal cervello artificiale di un computer già datato, proprio quella è la sequenza regina del sabato sera.
Quel sabato di metà maggio del 2018 così irreale da determinare solo eventi assurdi, circostanze impensabili.
Il Sassuolo (“salvo”) che va a battere l’Inter (“alla disperata ricerca di punti per la Champions”) a San Siro; l’inedita coppia Salvini-Di Maio in una stanza e intorno a un tavolo a scrivere gli articoli del contratto di governo; tu che vinci al Superenalotto. Sì, dannato testone, hai capito bene. Tu hai vinto 51mila euro! Perché quei numeri che hai giocato sono usciti. U-sci-ti. Chiaro?
Un vincitore a Milano, uno a Trieste e uno a Tuglie (provincia di Lecce). Da quel giorno i tre cavalieri del sabato sera più pazzo dell’anno cavalcano insieme da Nord a Sud, carichi del loro peso speciale, un extra size di 153mila euro. Da tre mesi cavalcano senza fatica, senza paura e senza macchia. E soprattutto senza sapere di aver vinto 51mila euro. I tre papà della sestina vincente (ma potrebbero essere anche tre mamme o forse ragazze/i madri/padri) finora non hanno incassato il premio. Non intendono riconoscere la loro creatura? Non vogliono prendersi le proprie responsabilità? Ignorare la vincita è pratica costante per quanto incomprensibile.
Dal 2010 al 2016 – e parliamo solo di Lotto e altre lotterie – non sono mai stati incassati premi per 353 milioni. “Una signora cifra”, direbbe Verdone. Più o meno la somma che la Regione Lazio ha stanziato per tre anni di “ediliza agevolata” e la Sardegna ha messo da parte per interventi nei territori finalizzati a evitare lo “spopolamento”. Come fa lo Stato ad arrivare ad accumulare 353 milioni di vincite non riscosse in sei anni? Chiaro, a colpi di 51mila euro dimenticati volta per volta. Siamo di fronte alla forma di distrazione più bieca e infame. Ché poi, se te ne ricordi quando ormai è troppo tardi – e oggi già lo è – non passerà giorno senza che maledica te stesso: il fantasma della dea bendata rifiutata come fosse una megera qualunque ti accompagnerà nelle notti insonni. Non avrai più scampo, il rimorso crescerà con il passare del tempo e come un tarlo penetrerà nei pensieri monopolizzando i ricordi.
Esiste una solo rimedio. Ma non è sicuro al 100%… Chiamiamolo metodo omeopatico. La cura consiste nell’andarsi a leggere la storia del “povero” Virginio Salmoiraghi che il 4 ottobre 2003 ebbe la sfortuna di vincere 160 milioni (e rotti) al Superenalotto. Molti investimenti sbagliati, tanti acquisti affrettati e una popolarità improvvisa impossibile da gestire. Nella zona di Legnano dove viveva il siur Virginio, tutti hanno saputo della vincita e lui non ce l’ha fatta a continuare la vita di onesto operaio. Come si fa a far finta di niente con 160 milioni piovuti come manna dal cielo? Dopo 7 anni i soldi erano già (quasi) finiti. Aveva toccato il cielo con un dito e poi si è ritrovato a terra: “Voglio che la mia esperienza sia d’esempio al prossimo vincitore del Superenalotto – dichiarava affranto – Prima avevo una vita normale. Ora ho i cani in giardino, vivo circondato di telecamere, mi bruciano l’auto… Non bisogna dire nulla a nessuno, neanche ad amici e parenti più fidati. E però sono sempre lì, ogni sabato davanti alla ricevitoria. Non si sa mai”.