il Fatto Quotidiano, 13 agosto 2018
Guareschi e la campagna contro i cartelloni stradali
Di Giovanni Guareschi, a 50 anni dalla morte, vorrei ricordare due cose diverse fra loro e però entrambe significative. La prima è l’importante attività da lui dispiegata nei lager tedeschi dove fu internato ed ebbe vita dura assieme ad altri 630.000 italiani (cifra impressionante) i quali continuarono a rifiutare l’adesione alla Repubblica sociale di Mussolini dopo l’8 settembre 1943. Di loro, 600.000 erano soldati e oltre 30.000 ufficiali.
Una “resistenza” di cui si è parlato poco per anni, anche perché il Pci era contrario a darle troppo risalto temendo che essa oscurasse la guerra partigiana. Lo stesso alto dirigente del Pci, Alessandro Natta, che era stato fra quei 30.000 e più ufficiali deportati in Germania, venne consigliato a ritardare la pubblicazione del suo libro L’altra Resistenza. I militari italiani internati in Germania, uscito da Mondadori addirittura nel 1997, perché nel primo dopoguerra era parso “editorialmente inopportuno”. Uno storico di sinistra, Giorgio Rochat, sottolineò invece che con quei contributi il quadro della Resistenza si ampliava: “Una grande maggioranza di questa massa di sbandati preferì la fedeltà alle stellette e la prigionia nei lager”.
Compagno di Guareschi fu il giornalista e scrittore Armando Ravaglioli, cattolico, tenente a 25 anni in Grecia. Nell’anteguerra aveva diretto, giovanissimo, a Forlì alcune riviste ottenendo la collaborazione di tanti giovani intellettuali che presto sarebbero stati antifascisti: Strehler, Grassi, Ghirelli, Testori, Lizzani, Guttuso, Napolitano, e molti altri. La rivista Spettacolo, fu soppressa da Mussolini in persona due giorni prima del 25 luglio: era dedicata alla cultura francese con Jean Cocteau, autore “degenerato”, e il poeta Paul Eluard, comunista. Due mesi dopo, Ravaglioli veniva deportato per il suo deciso “no” alla Repubblica sociale italiana. Su questa materia, sino a quel momento assai poco conosciuta, egli ha pubblicato due libri Continuammo a dire No. La resistenza dei deportati italiani, nel 2000, e Storia di varia prigionia nei lager del Reich millenario, Edizioni Anrp, nel 2002. Nel primo narra: “Al principio di maggio del 1944, con il favore del tempo finalmente schiaritosi e del tepore stagionale avanzante, si cominciò a lavorare positivamente attorno all’idea di qualche iniziativa in grado di dare forma concreta al fermento intellettuale serpeggiante nel campo fra i vari gruppi di amici”.
Nel lager arrivavano solo la Voce della Patria e Il camerata dove si poteva leggere: “Per i disfattisti che non vogliono tornare a imbracciare le armi quattro muri sono troppi; ne è sufficiente uno!”. Qualcuno entrava in crisi, ma i più resistevano, a tutto. Giovanni Guareschi “era arrivato dal campo polacco di Beniaminowo, dove aveva rinverdito la fama goduta in Italia nell’anteguerra, come emergente collaboratore del ‘Bertoldo’ di Giovanni Mosca. (…) A Sandbostel egli aveva ripreso a recarsi ogni sera di baracca in baracca per le sue letture sempre più richieste. Erano apologhi ambientati in cattività, favolette, epigrammi in cui la gente si riconosceva e, attraverso il riso, apprendeva a fare un miglior viso alla cattiva sorte giornaliera. Seduto sul livello più alto di un letto a castello, prendeva a leggere con voce pacata le sue composizioni, commentari di episodi di vita quotidiana del campo, filtrati attraverso il setaccio di una bonomia ironica. (…) La lettura si avvantaggiava dell’accompagnamento della fisarmonica di Coppola, un maestro di musica veneto con il quale aveva combinato una coppia ben assortita”. Un vero successo. E un incitamento per quei “resistenti” delle più diverse estrazioni sociali e culturali. Le oltre 600.000 schede di militari italiani internati hanno lasciato ammirati per tanto coraggio gli studiosi tedeschi. Esse contraddicono la tesi storiografica della “morte della Patria” dopo l’8 settembre 1943. Per la Patria essi patirono, si ammalarono, in decine di migliaia morirono di stenti o sul lavoro.
La seconda iniziativa di Guareschi da riscoprire e valorizzare (anche da chi, come me, non condivide la sua linea politica di fondo) è quella di una martellante, ironica, sempre attuale campagna contro l’invadenza dei cartelloni stradali che sconciano i nostri paesaggi, ancora integri in quel lontano 1952. In una vignetta si vede un enorme cartello stradale che nasconde totalmente il paesaggio e però esorta: “Visitate l’Italia, è qui dietro”. In un’altra, la guida magnifica ai turisti “il famoso e suggestivo laghetto alpino nelle acque del quale si specchiano i migliori prodotti dell’industria italiana”. Ovviamente del laghetto, nascosto dalle réclame, non si scorge nulla. In una terza vignetta, due signori chiacchierano in salotto e il padrone di casa mostra compiaciuto all’altro una serie di pubblicità di dentifrici, panettoni, aperitivi, acque minerali, incorniciate e appese, dicendo: “Ho visitato l’Italia e mi sono portato le più suggestive vedute”. Sarebbero da ripubblicare tutte quante.