Libero, 13 agosto 2018
Per diventare un campione (in qualunque sport) servono sacrificio e parecchi soldi
Diventare un campione è il sogno di ogni bambino. Eccellere nel proprio sport preferito tanto da farlo diventare un lavoro, sollevare coppe, trofei e medaglie è ciò che ogni ragazzino amante dello sport spera di poter vivere da grande, emulando i propri idoli. Un sogno che necessita di talento, tenacia, impegno, un po’ di fortuna, ma anche e soprattutto di sforzi economici non indifferenti. Le storie di riscatto sociale legate allo sport in Italia sono sempre più rare e sempre più legate al calcio, disciplina principe per interessi e ricavi. E gli altri sport’ Possiamo ancora immaginare di veder crescere una futura Federica Pellegrini senza una famiglia capace di sostenerla nei primi passi di carriera’ La risposta negativa purtroppo non sorprende e lo dimostrano le numerose storie di famiglie disposte a sacrificarsi per il futuro dei propri figli. Un impegno, quello per lo sport dei bambini, dimostrato da numerosi dati che sottolineano come nonostante la crisi economica, molte famiglie italiane abbiano preferito rinunciare ad altre necessità piuttosto che togliere fondi dalle attività sportive dei propri figli. Un rapporto Istat sui consumi ha infatti testimoniato la crescita costante della spesa mensile delle famiglie italiane dedicata allo sport, una spesa che va dai 300 agli 800 euro mensili a cui è necessario aggiungere le spese per i certificati medici e per l’attrezzatura. Una cifra che ovviamente varia a seconda delle discipline, dagli sport più costosi come l’equitazione a quelli meno costosi come il basket. La disparità tra i vari sport ha infatti portato molti genitori a scegliere per i figli (soprattutto per le famiglie numerose) attività meno costose come la ginnastica, in rapida ascesa tra le bambine al posto della danza classica. La scelta dello sport per i più piccoli ha fatto nascere online numerosi forum in cui i genitori si confrontano e cercano maniere alternative per risparmiare, dall’acquisto di indumenti online a spostamenti di gruppo. Infatti, oltre alle spese folli, una disciplina agonistica spesso ai genitori lunghi spostamenti, con conseguente dispendio di benzina e di tempo.
DALL’ORATORIO ALLA SQUADRA
Una situazione complicata che però nel caso del calcio dura pochi anni: i bambini più talentuosi vengono tesserati da squadre che si assumono i costi. Non vale ovviamente per tutti: se il passaggio dall’oratorio alla squadra del paese è pressoché immediato, gli step successivi sono riservati ai pochi con talento. Una storia come quella dei fratelli Laribi, Karim e Omar, che oggi militano in Serie B e in Lega Pro, ma che fin da piccolissimi hanno potuto contare sul supporto delle squadre in cui giocavano: «Noi siamo stati fortunati – racconta il fratello maggiore, Omar – da quando avevamo 7 anni infatti non abbiamo più avuto spese da sostenere tranne la benzina e gli abbonamenti ai mezzi, mentre la squadra pensava a tutto il resto, dalla retta, alle scarpe, all’abbigliamento». Le squadre in questione sono il Milan per Omar e l’Inter per Karim. Una sorte che però capita a pochissimi bambini e proprio per questo Omar, oggi alle prese con l’apertura del suo centro sportivo, il San Donato Volpi Verdi SSD, pensa a tutti gli altri ragazzi: «Quando capisco che alcune famiglie sono in difficoltà economiche sono disposto a non chiedere la retta. Il mio è un quartiere difficile e ho già messo in conto alcune di queste situazioni. Rispetto ai tempi in cui giocavo, i costi sono aumentati: le rette possono arrivare anche a 500 euro l’anno e per alcune famiglie non è sostenibile». Oggi infatti l’accesso al mondo del calcio è cambiato e il passaggio attraverso le scuole calcio è quasi obbligatorio. Un sistema che crea non poche polemiche tra costi troppo alti e pochi investimenti, che hanno trasformato un potenziale strumento di crescita dei ragazzi in un puro business. Il calcio però nonostante le polemiche, rimane un’isola felice nel mondo sportivo italiano. Gli altri sport non godono di alcuna sovvenzione e anche una volta diventati professionisti gli atleti sono spesso costretti a ricorrere a uno stipendio statale entrando a far parte delle forze armate o della polizia. I problemi maggiori però arrivano prima, nel momento della crescita e della maturazione dei futuri atleti, momento in cui il sostegno della famiglia diventa fondamentale, in tutte le discipline. Il pattinaggio sul ghiaccio, ad esempio, è uno degli sport più costosi: in una città come Milano per un corso di pattinaggio si spende intorno ai 1.000- 1.300 euro di base senza costo di coreografo per montaggio programmi, costumi di gara e ritiri estivi che, per un atleta ad alto livello. si aggirano sugli 800 a settimana (variano anche a seconda delle società).
SACRIFICI E COSTANZA
«Sono entrata in Nazionale molto giovane quindi alcune scelte di vita sono state condizionate dal poter pattinare il più possibile – racconta Francesca Mongini, prima pattinatrice e ora insegnante – Il liceo che ho frequentato è stato scelto solo per il numero limitato di ore scolastiche e la vicinanza al palazzetto del ghiaccio. Pranzavo in macchina e mi precipitavo in pista. Ovviamente tutto questo grazie a mia madre che si sacrificava per me e per i miei spostamenti. Questo solo per i primi due anni perché poi, per forza di cose, ho dovuto frequentare il liceo serale per problemi logistici. Entrata in Nazionale le gare di Grand Prix all’estero erano totalmente spesate dalla federazione che ci passava anche i pattini e le lame. Per il resto tutto a carico delle famiglie, mentre ora molti entrano a far parte di squadre come Polizia Penitenziaria o Aeronautica e può godere di maggiori agevolazioni oltre che uno stipendio mensile. Un privilegio per pochi, anzi pochissimi, un’élite che non rappresenta tutto il nostro sport». Sono molti gli sport che impongono alle famiglie importanti sacrifici. Come la ginnastica, sport di Tommaso de Vecchis, ginnasta della Nazionale Italiana ma anche trainer: «Se i miei genitori non mi avessero sostenuto fortemente non sarei sicuramente potuto arrivare in Nazionale, perché il tempo che hanno dedicato alla mia ginnastica è stato davvero molto – racconta – Sono stato fortunato perché, non percependo uno stipendio dalla mia federazione pur essendo in nazionale, avevo bisogno di alcune attrezzature per la preparazione fisica alla mia crescita da atleta, e in quell’occasione ho avuto una sponsorizzazione da un grosso marchio di attrezzature. Farsi pagare per fare il ginnasta è molto difficile anche se sei in nazionale – aggiunge Tommaso –, e quindi l’unica opzione che rimane, come nel mio caso, è riuscire a inventarsi un lavoro. Io sono contento di lavorare tutti i giorni perché so che quando finirò di fare l’atleta sarò già parte di questo mondo».
MAMME CHE TRAINANO CARRIERE
Le parole degli atleti sono sostenute da quelle delle mamme, veri traini della carriera sportiva dei ragazzi soprattutto all’inizio. Esistono alcuni casi virtuosi di sovvenzioni statali o comunali, come quelle dei comuni di Udine e Aviano o come la Dote Sport di Regione Lombardia o la Dote in Movimento di Assosport che sostengono le famiglie meno abbienti per le attività dei figli, ma nella maggior parte dei casi i genitori sono soli. Lo conferma Nausicaa, mamma di Edoardo, 6 anni, aspirante rugbista: «Non so se Edoardo diventerà un campione o riuscirà ad avere successo in questo sport – racconta – ma ad oggi io faccio di tutto per dargli questa possibilità. Questo significa rinunciare a molto del mio tempo libero e soprattutto a parte del mio stipendio che finisce direttamente tra corso, attrezzatura e benzina per gli spostamenti. Sono sacrifici, ma come mamma voglio fare tutto il possibile per provare a regalargli questo sogno». La storia di Nausicaa come quella di Francesca e Tommaso dimostrano che in Italia per molti sportivi il talento non basta: per trasformare la passione in lavoro, per vivere di sport infatti servono i sacrifici di una famiglia capace di sostenere costi e impegni. Perché non tutti possono diventare Federica Pellegrini.