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 2018  agosto 13 Lunedì calendario

Intervista a Emmanuel Carrère: «Non riesco a scrivere così torno al cinema»

Emmanuel Carrère cerca di vincere il caldo umido, inusuale sulle rive del Lago Maggiore svizzero, con la sua consueta divisa estiva: pantaloni e camicia di lino. Lo scrittore francese era in giuria al 71° Locarno Festival, che sabato ha assegnato il Pardo d’oro al film A Land Imagined.
Per lei è diventata un’abitudine partecipare alla giuria di un festival di cinema.
«Ne ho fatte altre due».
Ma dell’importanza di Cannes e Venezia.
«È vero, mi piace, altrimenti non accetterei. Non dico niente di originale, ma è un’esperienza molto appagante vedere tanti film e soprattutto poterne discutere con persone che conoscono molto bene il cinema, spesso meglio di me. Sono uno scrittore, il mio è un mestiere così solitario che la socialità di un festival è molto piacevole, tanto quanto girare un film, un processo collettivo che coinvolge molte creatività diverse».
Nel 2015 ha partecipato alla giuria del Festival di Venezia insieme a Pawel Pawlikowski, regista vincitore dell’Oscar per Ida, che ora sta lavorando all’adattamento, prodotto dall’italiana Wildside, del suo libro di maggior successo, Limonov.
«Tutto esatto».
Avete lavorato insieme alla sceneggiatura?
«No. Siamo molto amici, per cui mi fa piacere che sia lui a scriverlo e dirigerlo, per il resto abbiamo discusso un po’ del libro nel corso di un paio di settimane in cui siamo stati in vacanza nello stesso posto, in maniera molto informale, ma non sono assolutamente intervenuto come sceneggiatore. Sono curioso, ovviamente, ma penso sia meglio non essere coinvolto».
Trova che Limonov si trovi a suo agio oggi in un Europa in piena ondata populista?
«I populisti sono al governo, mentre lui non è fatto per essere al potere, è sempre preso nel suo ruolo di marginale pronto a tutto. C’è una grande differenza».
Come mai scrisse la sua storia? 
«È sempre interessante raccontare la vita di un avventuriero. Mi ha dato la possibilità di confrontarmi con qualcosa che non avevo mai fatto: scrivere un romanzo d’avventura. E Limonov era un formidabile eroe del genere».
Recentemente il suo eroe in Italia ha detto di non rivedersi nel suo libro, ma di essere contento che l’abbia scritto.
«Credo sia un rapporto perfetto fra soggetto e biografo, ognuno di noi ha ottenuto dei vantaggi da quell’esperienza. Io credo di aver scritto un buon libro di successo, lui ha ottenuto molta popolarità e ora è decisamente più conosciuto. Come dice lui, veniamo da due mondi diversi, mi considera uno scrittore borghese, rappresento tutto quello che detesta, il che non ci impedisce di avere rapporti cordiali, pur non essendo amici. È troppo intelligente per non capire come per lui sia stato meglio che la sua vita sia stata scritta da uno scrittore borghese, e non da qualcuno del suo partito».
Sta lavorando a un nuovo romanzo?
«No, non ho per ora un tema che mi appassioni, una storia a cui lavorare. Mi piacerebbe sia così, ma temo di vivere un periodo di blocco dello scrittore. E poi sono molto impegnato nella preparazione di un film di finzione, ambientato nel mondo del lavoro, che girerò l’inverno prossimo. Per ora preferisco non parlarne, ma è contemporaneo, racconta di donne delle pulizie alle prese con la disoccupazione».
Che effetto le fa tornare al cinema a tredici anni di distanza da L’amore sospetto?
«Mi fa molto piacere, sono eccitato e contento, questo non vuol dire che non sia inquieto, visto che mi chiedo sempre se riuscirò a fare un buon film, o almeno a non fallire troppo. È una sfida molto eccitante».
Sta guardando molti film durante la preparazione?
«Non sono uno di quelli che si chiude alle visioni altrui, sono molto aperto e facilmente influenzabile, mi capita anzi di trarre ispirazione da quello che vedo. Non cerco assolutamente di proteggermi dalle influenze esterne, è vero il contrario».
Recentemente Un romanzo russo è stato ripubblicato in Italia da Adelphi con una nuova traduzione. Che ricordi ha di quel periodo?
«È stato un libro difficile da molti punti di vista, che affrontava situazioni famigliari molto complicate. Sono molto orgoglioso di averlo scritto, ma sicuramente non è stato facile».
Guardando il mondo di oggi, le viene voglia di scrivere qualcosa di più politico?
«Penso che Limonov sia un libro politico, così come Vite che non sono la mia, che affronta tematiche come la giustizia e la povertà. Quello che sono totalmente incapace di fare è prendere posizione nei dibattiti pubblici, è una cosa che esula dalle mie competenze. Quello che posso fare è scrivere sulla politica in senso ampio».
Non è un intellettuale impegnato alla Bernard-Henri Lévy.
«Non provo alcuna ostilità, ma non ne sarei assolutamente capace. Nella famiglia del giornalismo c’è da una parte chi fa analisi, commenti, editoriali, e dall’altra chi si occupa di reportage. Io faccio decisamente parte di quest’ultima categoria».
Ne ha fatti molti di reportage, dagli immigrati di Calais alla Turchia di Erdogan.
«Sì, e mi piace molto. Sono come il genere di libri che scrivo, solo più corti. Provo a volgere il mio sguardo sugli angoli più trascurati, umani».
Ha voglia di tornare in quei luoghi a distanza di tempo, a vedere cos’è cambiato?
«Sì, naturalmente. Per ora non l’ho fatto perché non ho avuto tempo, ma è una cosa che bisogna fare, senz’altro».
Ha anche scritto un ritratto di Emmanuel Macron, cosa è cambiato nel suo rapporto con i francesi?
«L’esercizio del potere. Non sono un suo fan, ma lo trovo indiscutibilmente interessante, intrigante, romanzesco. Ero molto curioso di seguirlo per una settimana. È un personaggio molto enigmatico, sfuggente, uno degli ultimi uomini politici che crede all’Europa. Continuo a sperare nell’esistenza di una comunità europea forte e proprio per questo ho votato per Macron, con tutte le critiche che gli si possono muovere».
È stato difficile abbandonare il suo ultimo libro, Il regno?
«Sì, assolutamente, perché sono stato molto felice di scriverlo e mi ha coinvolto totalmente, ma a un certo punto bisogna voltare pagina».
In molti dopo aver letto quel libro hanno guardato con occhi diversi alla Bibbia.
«Me lo auguro, ho cercato di ricondurre le cose alla loro freschezza originale, prima che venisse per forza di cose alterata dai secoli, dalle istituzioni e dalle tradizioni».
Qual è la fase del processo di scrittura che preferisce?
«La fine della prima stesura, quando esiste un materiale di base sul quale lavorare, prima è sempre faticoso. Allo stesso modo, al cinema adoro il montaggio, quando hai tutto sul tavolo e inizi a dare forma al film».