La Lettura, 12 agosto 2018
Cronaca della finale del campionato di videogiochi, tra 800 tifosi in carne e ossa e 40mila online
«Sembra di stare in curva Sud, stupendo!», urla Michele Morales, 18 anni e chiara fede giallorossa vissuta fin dalla maglietta. «La questione – interviene Tiziano D’Adamo, 21 anni, romano – è semplice: chi non conosce il fenomeno pensa che si tratti di quattro nerd chiusi in casa per giocare al computer. La verità è che sono ragazzi con un sogno e con il talento per realizzarlo. Il resto è intrattenimento, la stessa ragione per cui, invece di un videogame, si guarda il campionato di calcio, o il motomondiale».
Michele e Tiziano parlano circondati da 800 spettatori, raccolti un sabato pomeriggio di mezza estate nel Teatro 1 di Cinecittà World, il parco dei divertimenti capitolino che pochi metri fuori sfoggia una riproduzione della Venusia del Casanova di Federico Fellini, mentre nell’aria risuona il tema della 20th Century Fox.
È una sintesi perfetta: perché dentro l’auditorium, davanti a Tiziano, Michele e altri 800 appassionati, si disputa la finale del «PG Nationals Predator», la gara che deciderà chi fra Team Forge, da Cagliari, e Outplayed Esports, da Brescia, accederà alle selezioni europee di League of Legends (LoL), il videogioco che ogni mese raduna online 120 milioni di utenti da tutto il mondo. Divisi in due squadre da cinque elementi, i giocatori si contendono una mappa con strategie che sommano l’abilità di calcolo alla destrezza sul pc: qualcosa fra gli scacchi e un’esecuzione al pianoforte, ma di squadra.
Per questo il «Nationals» celebra una nuova era dell’intrattenimento e con lei, forse, quella di uno sport diverso da come lo si è sempre inteso. Di certo è l’ennesima dimostrazione di quanto l’esport, cioè il videogioco praticato a livello competitivo e professionistico, sia uno dei fenomeni digitali più imponenti degli ultimi tempi. Imponenti e inarrestabili, almeno a giudicare dall’entusiasmo degli 800 spettatori a Roma e dei 40 mila connessi da casa.
Con un mercato globale che nel 2017 ha mosso 700 milioni di dollari, secondo osservatori come Newzoo o SuperData gli esport fattureranno due miliardi l’anno entro 36 mesi. Nel mondo, l’indotto del videogioco competitivo ha registrato un tasso di crescita annuale composto del 14,4% nell’ultimo quinquennio. I montepremi dei maggiori tornei internazionali svettano facilmente oltre il milione di dollari; addirittura sopra i 20, come nel 2017 per i mondiali di Dota 2, altro titolo fra i più giocati.
Alla crescita contribuiscono sponsor come Amazon, Red Bull e Coca-Cola, Nike, Adidas e Gilette, addirittura buona parte delle case automobilistiche. Se per i marchi già legati all’ambito agonistico l’investimento è logico, il coinvolgimento di aziende che producono cosmetici o auto suggerisce un cambio culturale: oggi l’esport raggiunge il pubblico più giovane – le statistiche parlano di appassionati fra i 15 e 40 anni, soprattutto maschi —, un’audience difficilmente intercettabile dai media tradizionali.
Non è un caso che da inizio anno la Nba abbia inaugurato il suo clone digitale: 17 delle 30 squadre del campionato cestistico più seguito al mondo hanno corrispettivi sui parquet elettronici, con professionisti pagati per difenderne i colori usando un pad invece del pallone. In Corea del Sud, dove il fenomeno è esploso all’inizio degli anni Duemila grazie a Starcraft, uno strategico fantascientifico, i tornei riempiono gli stadi, i giocatori migliori firmano contratti milionari e nei caffè dedicati, ogni giorno, buona parte dei giovani si dà appuntamento per sfidarsi «in lan», vale a dire in competizioni in loco, o per seguire i propri beniamini sui canali monotematici.
In Italia, molte società sportive si apprestano ad allestire la propria sezione digitale sull’esempio di Sampdoria, Empoli o Roma, la più strutturata in questo senso, vista la partnership con Fnatic, una delle organizzazioni esportive più titolate al mondo. Proprio grazie a uno studio di sviluppo milanese, Milestone, anche la MotoGp sta tentando di trasformarsi in disciplina elettronica.
Solo attraverso i numeri sarebbe però difficile capire un fenomeno cui anche il Comitato olimpico internazionale, lo scorso ottobre, ha dimostrato un’apertura. Aiutano le parole di Michela Benincasa, 24 anni, milanese arrivata a Roma per il «Nationals»: «È la prima volta che partecipo a un evento – ammette mentre precisa di non essere una fan di League of Legends e di preferirgli sparatutto à-la-Call of Duty —. Giocando online però capita sempre di conoscere altri appassionati e non è raro ci si dia appuntamento anche lontano dallo schermo». Il suggerimento è chiaro: l’esport è la manifestazione contemporanea di una passione condivisa e antica: la stessa che porta ad ammirare le gesta di Michael Jordan, o di Roger Federer, o di Cristiano Ronaldo.
Degli sport tradizionali quelli elettronici ereditano l’agonismo come tensione al miglioramento. In più aggiungono i segni della propria epoca: come dice Peter Warman, a capo di Newzoo, oggi il gaming competitivo accorpa agonismo, intrattenimento tradizionale e i due passatempi più diffusi sotto i 25 anni: videogiocare e guardare chi lo fa. Di natura volatile, l’esport è accessibile a tutti, facilmente praticabile da casa e ancora più facilmente fruibile grazie a canali dedicati come YouTube Gaming o Twitch, la piattaforma per il live streaming comprata da Amazon nel 2014 per 970 milioni di dollari. Anche lontano dallo schermo, l’esport consente di far parte di comunità vaste e interattive. Ribadisce un’identità. «Quelli che vengono chiamati millennial – dice Pier Luigi Parnofiello, 39 anni, ceo di Pg Esports e organizzatore del “Nationals” – sono un pubblico definito solo a livello anagrafico, ma poco imbrigliabile in altre categorie. Sono un pubblico diviso in tante nicchie, unite da passioni comuni. L’esport ha la forza di accorparne diverse: l’amore per il gaming, quello per lo spettacolo, e il desiderio di partecipare alla vita di una community».
«Chi vince è secondario – conferma Emanuele Raffaele, 25 anni arrivato al “Nationals” da Trani con una decina di amici —. È la passione per League of Legends che ci ha spinti qui. La cosa più bella, però, è che abbiamo chiacchierato tutto il giorno con tizi di cui nemmeno conosciamo il nome».
Poco distante da Emanuele la squadra campione in carica, il Team Forge, viene sconfitta. I fan degli Outplayed festeggiano il loro primo ingresso in Europa. Distinguere gli schieramenti è impossibile: pochi secondi dopo la fine del «PG Nationals» è l’intero teatro a urlare di gioia per lo spettacolo vissuto insieme. L’esport sembra persino meglio della curva Sud.