La Stampa, 12 agosto 2018
Tennis, intervista a John Newcombe
John Newcombe ha 74 anni, il baffo e lo sguardo sono gli stessi di quando faceva innamorare chiunque con le sue volée e la sua simpatia. Sette Slam vinti in singolare, 17 in doppio, «Newc» è stato uno dei pochissimi numeri 1 in entrambe le classifiche, oltre che, a 30 anni suonati, uno dei più anziani n. 1 di sempre.
Newcombe, Federer ha appena compiuto 37 anni: può ancora vincere uno Slam e tornare n. 1?
«Può farcela. Se il fisico regge...».
Lei si è ritirato di fatto a 34 anni: come ci si accorge che è il momento?
«Quando tutto, tranne gli allenamenti e i match, inizia ad annoiarti. Roger ha detto che sua moglie ama viaggiare e le piace l’ambiente: se così non fosse, avrebbe già smesso».
A lei quando è capitato?
«All’inizio del 1978 ero in forma, poi di colpo tutto iniziò a pesarmi. Tre settimane prima di Wimbledon ricominciai ad allenarmi seriamente, troppo tardi. Persi negli ottavi contro Raul Ramirez: quando cercai di cambiare marcia mi accorsi che le avevo finite. Così mi dissi: ok, è finita».
Djokovic sembrava in crisi, a Wimbledon invece...
«Può tornare numero 1. Me ne sono convinto guardando la semifinale contro Nadal a Wimbledon: man mano che il match procedeva lui era sempre più sicuro. Negli ultimi due mesi aveva ricominciato a giocare bene, ma gli mancava qualcosa, e si percepiva la sua frustrazione. Wimbledon era la sua grande chance: Nadal ha giocato per vincere, Djokovic per sopravvivere».
Nadal può superare il record di 20 Slam di Federer?
«Per Rafa conta di più avere un obiettivo, provare a conquistare un altro Slam, piuttosto che inseguire il record di Federer. Può giocare un altro paio d’anni; ma poi, se vince un altro Roland Garros, come la mettiamo?».
Lei ha giocato contro Laver: più forte lui o Federer?
«Cosa avrebbe fatto Rod con le racchette, le corde, gli allenamenti di oggi? Impossibile rispondere. Di Borg si diceva: è il migliore, nessuno sarà più forte di lui sulla terra. Poi è arrivato Nadal».
I match al meglio dei 5 set sono troppo lunghi?
«Giocare al meglio dei tre set negli Slam è ridicolo. Devi essere pronto fisicamente e mentalmente, saper recuperare dopo un match duro. Non ho mai sentito Nadal o Federer lamentarsi dei cinque set. Al limite, si può pensare a giocare un supertiebreak al quinto set, ma solo sul 12 pari».
I giovani stentano a ingranare: perché?
«Un piccolo mistero. Fanno bene nei tornei dove si gioca due set su tre, negli Slam non reggono. Sono all’80%, ma credono di essere al 100%. Avrebbero bisogno di qualcuno a fianco che insegni loro cosa significa essere al 100% nei grandi tornei, come ha fatto Lendl con Murray».
Roma, 1976, semifinale di Coppa Davis, lei contro Panatta. E il giudice di sedia Vincenzo Bottone che chiede al pubblico di fare silenzio, «altrimenti mister Newcombe si riposa». Ricorda?
«Davvero disse così? Ricordo che vinsi il primo set, Adriano il secondo e la gente impazzì. “Pa-nat-ta, Pa-nat-ta”… non smettevano più, un atmosfera fantastica. Mi ha sempre esaltato il vostro calore, ho sempre pensato che in Italia la gente va al tennis come a teatro. Ero lì che aspettavo di servire, quando la gente di colpo fece silenzio. Tutti mi fissavano. Allora buttai a terra le palline e la racchetta, e urlai: “Ehi, cosa ne dite di me? Sto giocando bene anch’io!”. Il pubblico iniziò a scandire il mio nome: “New-combe, New-combe!”. Guardai Adriano: era mio amico, ma in quel momento mi avrebbe ammazzato. Fu molto divertente. In Spagna però non lo avrei mai fatto, mi avrebbero tirato addosso di tutto».
Il momento che ricorda di più della sua carriera?
«Contro Rosewall, la finale di Wimbledon del 1970. A dieci anni, nel 1954, avevo seguito alla radio la finale che aveva perso contro Drobny, si figuri l’emozione di trovarmelo davanti sul Centre Court. Un primo set equilibrato, vinse lui 7-5, poi io rimontai 6-3 6-2 nel secondo e nel terzo, e mi trovai avanti 3-1 nel quarto. Il pubblico però era tutto per Rosewall, e mi innervosii. Da 3-1 mi ritrovai 6-3 per lui: due set pari. Ero furioso. Al cambio di campo mi dissi: quando torni in campo ci saranno solo le righe, e un avversario dall’altra parte, nient’altro. Giocai un grande quinto set e vinsi 6-1. Sono più orgoglioso di quello che ho fatto in quei 60 secondi – sotto pressione, davanti al pubblico, alle tv... - che di aver battuto Rosewall in una finale di Wimbledon».