Corriere della Sera, 12 agosto 2018
Omosessuali nella Russia di Putin
Può darsi che Vladimir Putin soffra di una personale avversione per gli omosessuali, ma dietro l’arresto dei 25 militanti che reclamavano nella piazza del Palazzo d’Inverno, a San Pietroburgo, il diritto di esistere, vi sono fattori politici e religiosi che meritano un commento. Russia Unita (il partito di Putin) è una specie di Democrazia cristiana degli anni in cui i Comitati civici erano una milizia papale e alcuni frutti della modernità (divorzio, aborto, omosessualità) erano considerati, al di là del Tevere, minacce diaboliche contro la santità della famiglia.
Da allora molto è accaduto in Italia. Vi è stata una rivoluzione dei costumi, nel 1968, che ha scritto le nuove regole della sessualità. Vi è stata la rivoluzione industriale delle piccole e medie imprese che ha creato un nuovo ceto sociale, ambizioso, innovativo e molto più disinvolto della generazione precedente. E vi è stata infine una rivoluzione del viaggio che ha creato in Europa, tra l’altro, la «generazione Erasmus», composta da giovani che appena superata la maggiore età hanno già dimestichezza con Paesi molto più laici e multiconfessionali di quello in cui sono nati.
In Russia queste rivoluzioni non ci sono state o hanno avuto effetti più limitati e modesti. Il Paese di quella che fu la più contagiosa rivoluzione della prima metà del Ventesimo secolo è paradossalmente indietro di almeno tre rivoluzioni scoppiate nella seconda metà. Questa differenza fra l’Occidente e la Russia ha avuto anche ricadute ecclesiastiche. Mentre la Chiesa romana e le Chiese protestanti erano costrette a modernizzare principi e liturgie, la Chiesa moscovita approfittava della morte dell’Urss per occupare nuovamente lo spazio e il ruolo che aveva avuto nella Russia prerivoluzionaria. Non siamo tornati a quel rapporto fra Zar e Patriarca che ricordava la diarchia dell’Impero bizantino, ma Stato e Chiesa, a Mosca, hanno stipulato una tacita alleanza. Non sappiamo quanto la fede ostentata da Putin sia genuina e non sappiamo se il suo rapporto con il patriarca Kirill risalga davvero all’epoca in cui, secondo le male lingue, erano entrambi membri di una stessa organizzazione (il Kgb). Ma sappiamo che ciascuno dei due ha bisogno dell’altro e non prenderà iniziative che possano nuocere ai fondamentali interessi del partner. Questo spiega, tra l’altro, perché la sceneggiata goliardica delle Pussy Riot nella chiesa di Cristo Salvatore contro Putin, dopo la rielezione del 2012, sia stata così severamente punita, e perché 25 gay possano essere trattati come una manifestazione del Maligno. Queste posizioni della Chiesa russa incidono anche sui rapporti con la Santa Sede. Come i suoi predecessori papa Francesco sta cercando di ricucire lo strappo del XV secolo fra la Chiese di Oriente e di Occidente. Ma Francesco è un modernizzatore che, interrogato sulla omosessualità, ha detto «chi sono io per giudicare?»: parole che non sentiremo mai sulla bocca di Kirill.