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 2018  agosto 12 Domenica calendario

Dove va il filosofo quando pensa

La ricerca del luogo ideale per pensare, scrivere, creare è da sempre un’ossessione di artisti e filosofi. C’è chi ha eletto un rifugio sperduto nella natura, in cima alle Alpi o nel profondo della Foresta Nera, chi invece è riuscito a ritagliarsi un luogo appartato nel centro di megalopoli, chi addirittura ha lasciato la civiltà per isolarsi in una grotta. Machines à penser, la mostra alla Fondazione Prada di Venezia, a Ca’ Corner della Regina, racconta quanto il rifugio intellettuale sia un luogo imprescindibile per la produzione di pensiero.
Punto di partenza per affrontare il tema sono i rifugi dei maestri della filosofia Theodor W. Adorno (1903 -1969), Martin Heidegger (1889 1976) e Ludwig Wittgenstein (1889 -1951). Tre personalità, tre luoghi, tre inclinazioni. La mostra, a cura di Dieter Roelstraete, dialoga con la Biennale d’Architettura di Venezia, e parte dai luoghi per scandire attraverso dipinti, disegni, sculture, installazioni, opere musicali e letterarie, l’idea personale del rifugio.
Una foto a dimensione ambientale del salotto di una casa borghese degli anni Trenta, poltrone bianche, scaffali carichi di libri, la luce chiara che filtra da destra e si allunga sul tappeto accoglie il visitatore all’ingresso. È uno scatto di Patrik Lakey che immortala l’interno di Villa Aurora a Los Angeles frequentata da Theodor W.
Adorno e da altri intellettuali tedeschi in esilio. Qui scrive Minima Moralia in una condizione di totale estraneità, lontano da casa e dal suo contesto. Fanno da contrappunto, nella sala a fianco, German Photographs in cui Lakey svela rifugi e luoghi prediletti da intellettuali tedeschi in cui si respira lo stesso senso di sospensione di Villa Aurora.
È, di nuovo, l’ atmosfera separata, straniante che si percepisce nei due rifugi di Heidegger e di Wittgenstein ricostruiti al primo piano di Ca’ Corner. Sono uno di fronte all’altro e si stagliano, con un contrasto di notevole impatto, su affreschi e stucchi.All’interno della baita di Heidegger (a Todtnauberg nella Foresta Nera) ci sono alcune piccole fotografie in bianco e nero che narrano momenti di vita quotidiana del filosofo con la moglie. Lo spirito del luogo è rigoroso, severo. Ancora più estrema, quasi monastica l’estetica del rifugio di legno di Wittgenstein, che scelse Skjolden, un fiordo sperduto a nord della Norvegia, per il suo autoesilio. Fra le due architetture, ci sono i ritratti dei filosofi, opere dell’artista polacca Goska Machuga. Sono tre teste: azzurra quella di Heidegger, in terracotta Adorno, verde Wittgenstein, installate su tronchi d’albero, che fungono da piedistalli e evocano il rapporto con la natura di questi filosofi. La mostra spazia fra i libri di pagine bianche dedicate ad Heidegger di Giulio Paolini, le stratificazioni d’immagini di Gerard Richter, le sculture enigmatiche di Mark Manders, le immagini di paesaggi lacerate di Chiasera, l’installazione sonora di Susan Philipsz, e i lavori di molti altri artisti.