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 2018  agosto 12 Domenica calendario

Come sei teso, quadro

Un milione di dollari per una tela tutta bianca. Nel 2014 un’opera degli anni Sessanta di Agostino Bonalumi (1935-2013), a un’asta londinese di Sotheby’s, ha triplicato la stima. È stato l’anno fortunato per i pionieri di una pittura aperta a nuove dimensioni. Il boom delle superfici bucate, tagliate, estroflesse riempì gli stand delle fiere di monocromi irregolari, tridimensionali, mossi da sfere o punteruoli nascosti. Prima di allora, i prezzi avevano raggiunto massimi di 100mila euro. Oggi, smaltito l’entusiasmo dell’ascesa, le medie si assestano. L’ultimo top lot di Bonalumi del 2017, un altro “Bianco” battuto a Milano, ha totalizzato 319mila euro. È il classico trend economico. Rialzo, picco, flessione. Il mercato dell’arte non è diverso, in questo, dagli indici dei mercati azionari che spesso si caratterizzano per un’elevata volatilità giornaliera, ma anche per movimenti ciclici di più ampio respiro. Il ciclo di Bonalumi e compagni – come Paolo Scheggi o Castellani, che però vola più alto e da più lungo tempo – dura da circa un decennio. La mostra aperta al Palazzo Reale di Milano (fino al 30 settembre), curata da Marco Meneguzzo con 120 opere che sfidano i limiti del quadro al di là del colore che prende forma, consacra il maestro milanese nell’empireo dei grandi e dovrebbe, nel breve termine, dare anche nuovi riscontri in asta.
Claudia Dwek, presidente di Sotheby’s Italia, colloca la figura di Bonalumi in un contesto internazionale: «È stato rivalutato insieme all’apprezzamento del collezionismo straniero verso tutta l’arte italiana degli anni Sessanta e Settanta. Il suo studio delle superfici e dei colori si connette con la ricerca europea dell’epoca. Questa retrospettiva è un omaggio doveroso». Ecco allora un viaggio che attraversa mezzo secolo di lavoro. Si parte dalla fine degli anni Cinquanta quando Agostino, ragionando sull’idea di far vivere e respirare la tela, innestò escrescenze naturali, sterpi secchi sbocciati sul cemento spatolato. Oppure tubi di ferro piantati nei telai, come bocchette per l’aria.
Erano gli anni delle mostre milanesi con Manzoni e Castellani alla galleria del Prisma e del sodalizio (breve ma intenso) nato fra le pagine della rivista “Azimuth”. Sullo sfondo di quella “corsa allo spazio” che aveva nutrito, prima di tutti, l’immaginario di Fontana, anche Bonalumi arrivò a proiettare il suo sguardo dalla dimensione umana a quella cosmica. La pittura-oggetto o i quadri-scultura sono il frutto del suo modellare il vuoto a caccia di risultati estetici futuristici. L’energia che ribolle nelle tele estroflesse degli anni Sessanta ricorda infatti le forze dinamiche sperimentate dall’avanguardia di Boccioni e compagni. Un nocciolo surriscaldato. Una “materia” in potenza.Ciò che affascina osservando le serie delle forme aggettanti, modulari, lamellari, le superfici gonfie, curve, aguzze, è lo spirito di geometria che guida l’indagine verso le profondità del quadro, dentro “il guscio della cosa”.
Non c’è ombra di una gestualità istintiva, ma il rigore di una meditazione. La geometria costruisce proiezioni ortogonali nelle forma-oggetto delle tele, così come nella pittura-ambiente di Blu abitabile, febbrile salto nel blu realizzato per la mostra “Lo Spazio dell’immagine” a Foligno nel 1967. Lascia senza fiato la gigantesca
presentata alla Biennale del 1970: una collana di moduli algidi sospesi a pioggia dal soffitto. Capolavori che, nell’ampiezza della mostra, contribuiscono alla consacrazione del maestro. Le flessioni del suo mercato recente sono legate forse all’eccesso di offerta seguito all’impennata del 2014. A sentire Daniele Palazzoli, co-direttore della casa d’aste Cambi ed erede della storica Galleria Blu che ha trattato in esclusiva Bonalumi per oltre dieci anni, «il calo è fisiologico; il collezionismo di medio livello che ha acquistato autori come lui per cifre vicine ai 30mila euro e li ha visti salire di colpo verso i 200mila, li ha rimessi sul mercato. E la saturazione ne ha abbattuto le stime». Detto ciò, sono tutti d’accordo sul fatto che, per la qualità della ricerca, i nomi ormai storicizzati siano destinati a risalire. In attesa di sviluppi, resta la grande bellezza dei suoi leggeri smottamenti, la poesia delle sue creste lunari, crateri che celano faglie sotterranee. Ancora attive e vitali.