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 2018  agosto 12 Domenica calendario

Sbatti il meglio in prima pagina

Chi ben comincia è a metà dell’opera, si diceva un tempo. Per i libri non vale: quel “chi” che comincia bene non può essere né un autore né un lettore. Per essere detto tale, l’autore deve andare sino in fondo, deve scrivere tutto, deve arrivare all’explicit: il proverbio che vale per lui è un altro,” cosa fatta, capo ha”. Tra l’altro l’autore non deve affatto il suo nome al prefisso “auto-”, che allude al sé, come potrebbero lasciare credere il narcisismo della scrittura e i recenti festival di autofiction.” Autore” viene da aug?re, che significa” far crescere”, radice anche del verbo italiano “aumentare”. L’autore è insomma preda di quella che potremmo chiamare la sindrome di Valéry: il primo verso, la prima pagina, il nucleo iniziale è un dono di potenze incognite, dèi, muse o elaborazioni dell’inconscio. Dopo di che, però, tocca lavorare e, per essere all’altezza di quel dono, lavorare bene. Anche il lettore non è lettore se non va dalla prima all’ultima pagina, seguendo con l’occhio il percorso tracciato dalla mano dell’autore qualche tempo prima – pochi mesi, se si tratta di un libro di stagione; secoli o millenni, se si tratta di antichità. Solo alla fine avrà diritto a pronunciare il suo proverbio, che è: de hoc satis.
Ma stabiliti gli obblighi rispettivi, e forse reciproci, bisognerà allora concludere che le prime pagine di un romanzo sono solo il riscaldamento preliminare a una lunga sessione di training? Dentro all’ideologia della lettura come doverosa fitness mentale, sì: è proprio così. Si percorrono le prime pagine come si butta un’occhiata alla palestra prima di cominciare a esercitarsi, interessati a quanta gente c’è, se è simpatica, se la musica ci piace, se le attrezzature visibili sono adeguate.
I libri costruiti come palestre si riconoscono perché le loro prime pagine sono accoglienti ma veloci da attraversare; non propongono impegni ma ne promettono per il proseguimento, con la dovuta e salutare gradualità. I gialli classici sono così, così sono anche costruiti i cosiddetti “voltapagine”. Non sorprendono mai il lettore con una dose minore delle sorprese che promettono sin da subito. Il lettore vuol essere choccato ogni tot pagine, e questo lo rassicura. Sarebbe per lui uno choc non avere il giusto numero di choc.
Più in generale, le prime pagine dei romanzi possono avere funzioni anche molto diverse ma queste funzioni sono tutte da mettere in relazione con le attese del lettore. Il lettore si aspetta qualcosa dal libro? Il libro può cominciare a darglielo subito, può indugiare e giocare con i dubbi del lettore, può non darglielo mai.
Il libro che comincia da zero a ogni voltata di pagina ( Giorgio Manganelli, Centuria; Raymond Queneau, Esercizi di stile); il libro che comincia ma si dimentica di dove voleva andare (Laurence Sterne, Tristram Shandy); il libro fatto di incipit di altri libri (Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore); il libro che comincia con un volo di uccelli in pagine da parolibere futuriste e poi cambia genere letterario ogni volta che vuole (Alberto Arbasino, Super- Eliogabalo); il primo di una serie di sette libri, che sembra fatta di sole digressioni e invece ha una architettura segreta e vastissima (Marcel Proust, Dalla parte di Swann)… Questi, e i molti altri esempi che si potrebbero fare, sono libri che al lettore dicono:” Ma davvero ti aspettavi qualcosa da me?” e il lettore se ne vergogna, come se avesse messo una mano sulla coscia alla persona sbagliata e temesse lo schiaffo. Se sa trarre profitto dall’esperienza non lo farà mai più, di aspettarsi qualcosa di preciso da un libro.
È perciò un vero peccato che i libri, oggi, facciano come se dal lettore si aspettassero proprio la mano lubrìca sulla coscia. Prenditi subito tutte le confidenze, gli dicono: non ti sorprenderò. Cioè ti sorprenderò soltanto nei tempi e nei modi in cui ti aspetti di essere sorpreso. Una cosa mi preme che tu sappia – prosegue il romanzo, rivolto al lettore che legge le sue prime pagine – di me avrai e capirai tutto.
Non troverai in queste pagine una zia panettiera, una passeggiata in carrozza, una meditazione sulle zanzare o sull’eutanasia di cui non saprai darti ragione. Se ci sarà un concetto a cui tengo molto, un simbolo, un valore ( ecco una bella parola per te!), per non correre il rischio che tu lo perda per strada lo ripeterò: una volta o anche più.
Il problema delle prime pagine di un libro, specie se romanzo, è poi comune a tutti: chi è Carla, dove è entrata, perché dovrebbe importarmi, perché non dovrei essere indifferente agli Indifferenti (di Alberto Moravia)?
Il colonnello, il plotone d’esecuzione, il ghiaccio; quel ramo del lago e il prevosto che passeggia col breviario; un principe palermitano alla messa, in epoca garibaldina; due copisti che si incontrano nella canicola di un boulevard di Parigi.
Perché dovrebbero interessarci? Perché superiamo la resistenza che la nostra mente oppone a mandare a memoria i nomi, i gradi di parentela, le relazioni, le descrizioni? A questo problema ogni libro, specie se romanzo, risponde come può. Può promettere una trama, e allora comincerà a far conoscere i personaggi, a indurre le prime previsioni sul loro comportamento, a introdurre con minore o maggiore veemenza quella rottura di equilibrio da cui si sprigiona il romanzesco ( le prime pagine, traumatiche, de Il Cardellino di Donna Tartt). Può mostrare come ciò che racconterà sarà reso rilevante solo dalle osservazioni che renderà possibili ( l’incipit, morale e quasi algebrico, di Anna Karenina di Lev Tolstoj).
L’importante sarebbe che in quelle prime pagine il lettore avvertisse anche una voce dirgli piano: se ami la letteratura, se è letteratura ciò che vuoi da me, scegliendomi hai incaricato me, questo libro che hai in mano, di dirti cosa la letteratura sia. Non pensi certo che la mia risposta coincida con quella di un altro libro che hai letto, o con la tua. Non ti aspetti nulla.Ecco: in quel caso né il libro né il lettore sono a metà dell’opera, ma certo hanno cominciato bene.