la Repubblica, 12 agosto 2018
Infezioni in corsia, settemila morti l’anno. «Troppi antibiotici rafforzano i batteri»
Le infezioni ospedaliere, soprattutto nei reparti di terapia intensiva neonatale, sono un rischio inevitabile. Ma in Italia le epidemie nei reparti di degenza hanno un’incidenza maggiore rispetto all’Europa, perché gli antibiotici si usano troppo e male. Secondo i dati di Assobiomedica, su circa 9 milioni di ricoverati negli ospedali italiani ci sono ogni anno da 450mila a 700mila casi di infezioni ospedaliere. Le infezioni in generale colpiscono circa dal 5 all’8 per cento dei pazienti ricoverati in ospedale, con differenze per tipo di ospedale, di reparto, di procedura. La media europea è di circa il 6 per cento, ma da noi le infezioni sono più gravi e più a rischio di esiti letali, perché ci sono più sepsi e infezioni del sangue. Nell’1 per cento dei casi italiani infatti l’infezione risulta mortale e dopo i reparti di terapia intensiva (circa 30 per cento dei casi), quelli di patologia neonatale sono i più soggetti a infezioni. «Nei reparti di patologia neonatale c’è un “equilibrio instabile” – spiega Mauro Stronati, presidente della Società italiana di neonatologia – poiché i nostri pazienti sono soggetti vulnerabili. Nel caso specifico di Brescia il neonato pesava meno di un chilo, ma tutti i neonati sono deboli e hanno meno difese immunitarie. In più, nei nostri reparti non si può negare l’accesso ai genitori, è una questione di umanità, ed è perciò più complicato mantenere elevati standard di igiene».
Tuttavia non sono i batteri portati dall’esterno la causa principale della diffusione delle infezioni. «L’ospedale fa da amplificatore – spiega Giovanni Rezza, direttore del dipartimento di malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità – soprattutto nei reparti di terapia intensiva e neonatale dove appunto le terapie sono più invasive per l’applicazione di cateteri e sondini. A dare i problemi maggiori e talvolta esiti mortali sono soprattutto i batteri Gram negativi, tra i quali rientra la Serratia marcescens che ha infettato il neonato di Brescia, perché più antibiotico resistenti».
E qui si arriva al nodo della questione: «Il nostro lavoro di osservazione si concentra soprattutto su questo aspetto – dice Rezza – perché i germi mutano anche a causa dell’uso non corretto degli antibiotici, e sotto questo aspetto l’Italia è maglia nera in Europa». A novembre scorso il ministero della Salute guidato da Beatrice Lorenzin ha varato il Piano nazionale di contrasto all’antibiotico-resistenza, un progetto su tre anni, dal 2017 al 2020, per la sorveglianza, prevenzione e controllo delle infezioni, impiego corretto degli antibiotici, formazione, informazione, ricerca e innovazione. «Le iniziative vanno però sostenute con risorse e impegno – dice ora Rezza – le campagne devono avere lunga durata e diffusione capillare».
Anche Stronati insiste sull’uso eccessivo di antibiotici e la necessità di maggiore informazione: «Il concetto di “utilizzo ragionato” di questi farmaci non è ancora stato assimilato come si dovrebbe – sottolinea il presidente della Sin – È chiaro che a un neonato in terapia intensiva l’antibiotico va dato, ma se dopo tre giorni la sospetta infezione non è ancora accertata l’antibiotico va sospeso».
«C’è ancora molto da fare sull’informazione e la responsabilizzazione del personale sanitario sull’uso degli antibiotici e sulle norme igieniche», conclude Rezza.Batteri antibiotico resistenti e loro mutazioni si sconfiggono infatti anche con la più basilare delle norme igieniche, il lavaggio frequente e accurato delle mani.